di Riccardo Chiari su il manifesto 17 marzo 2013
«Quale futuro può offrire uno Stato ostaggio delle mafie?». Anche se abbellito dal giglio rosso della città, lo striscione firmato «cittadini di Firenze» è una domanda scomoda, mentre più di 100 mila italiani di ogni età accompagnano in corteo i familiari delle vittime della criminalità organizzata. La prima risposta, lucidamente attuale, arriva dal simbolico leader (anche suo malgrado) di questa durissima battaglia civile: «La lotta alle mafie si fa con le leggi giuste in parlamento – scandisce don Luigi Ciotti – con una nuova legge sulla corruzione perché quella di adesso è monca. E con leggi contro il gioco d’azzardo, per la tutela dell’ambiente e del lavoro, a sostegno dei familiari delle vittime e delle aziende confiscate alle mafie». Se sarà ascoltato, la nuova legislatura magari non arriverà ai cento di Peppino Impastato, ma i suoi primi passi li muoverà nella direzione chiesta da questa giornata.
In una splendida mattina di fine inverno, la marcia di Libera e Avviso Pubblico per le strade di Firenze è l’immagine di un paese che non ha paura, come canterà a fine manifestazione Fiorella Mannoia. Le decine di migliaia di giovani arrivati dalle province toscane, dalla Lombardia e dalla Sicilia, dal Piemonte e dalla Campania, dalla Calabria e dalla Sardegna, con la loro presenza danno anch’essi una risposta.
Questa volta al sempreverde interrogativo di don Lorenzo Milani: «A che serve avere le mani pulite, se poi si tengono in tasca?». Gli studenti e le studentesse delle superiori, che d’estate passano le vacanze lavorando nei campi confiscati alla criminalità, chiamano tutti all’azione: «Anche se è forte la camorra si può combattere – spiega un ragazzo campano – se ci uniamo tutti insieme come oggi ce la possiamo fare».
E un suo coetaneo siciliano ricorda: «Giovanni Falcone diceva sempre che la mafia è un fatto umano, come ha avuto un inizio può avere una fine».
Nel fiume colorato che dalla Fortezza da Basso si dirige verso lo stadio, spuntano qua e là i 900 grandi fiori di carta preparati dagli alunni più giovani, ognuno dedicato con nome e cognome a chi ha combattuto contro mafia, n’drangheta e camorra, a costo della vita. Sparse nel corteo figure conosciute.
Assenti giustificati i parlamentari, non mancano Antonio Ingroia e Giancarlo Caselli, Susanna Camusso e il procuratore fiorentino Giuseppe Quattrocchi, Paolo Ferrero, il ct della nazionale Cesare Prandelli e, fra i sindaci più noti, Matteo Renzi, Michele Emiliano e Luigi De Magistris. Anche questa giornata viene ferita da una tragedia, la morte in un incidente stradale dell’agente di polizia Vittorio Giordano, che all’alba era partito da casa per fare servizio di scorta: «Anche lui è morto per la democrazia», ricorda dal palco don Ciotti.
Sintetizza bene Paolo Siani, fratello di Giancarlo, giovane cronista precario ammazzato dalla camorra per averla denunciata nei suoi articoli: «Ho visto tante belle facce, volti puliti di giovani che rappresentano un’Italia che manda un grido di dolore e una richiesta di giustizia. Credo che sia un bel modo di ricordare le vittime delle mafie. Giancarlo ci sta vedendo e ci incoraggia a portare avanti questo impegno».
E ora? «Ora che ci sono tanti giovani in parlamento, dovrebbero raccogliere questa richiesta di giustizia che parte dal basso».
Guarda l’interminabile corteo e sorride Elisabetta Caponnetto, vedova di Nino che fu il «padre» del pool antimafia di Falcone e Borsellino, pronta ancora oggi a raccontare nelle scuole quanto fu temeraria, eppure doverosa, quella sfida aperta a Cosa Nostra. «Il paese è questo – osserva Franco La Torre, figlio del segretario comunista siciliano ucciso dalla mafia – non possiamo stupirci se ogni anno alle manifestazioni di Libera ci sono come oggi 150 mila persone. C’è una straordinaria voglia di riscatto dal sistema politico-mafioso, lo chiede il paese ma la classe politica non lo capisce». Sarà smentito, e ne sarà probabilmente sollevato, dall’elezione di Piero Grasso a presidente del Senato. Alla fine, dopo che dal palco sono stati ricordati ancora, uno per uno, i nomi delle vittime delle mafie, non si dimenticano nemmeno i 32 morti della strage ferroviaria di Viareggio, quelli della Eternit e della Thyssen, fino a Ustica. Vittime anche loro di un sistema per tanti aspetti criminale.