di Francesco Piobbichi e Alfio Mastropaolo – da il manifesto

Segnalo e consiglio vivamente la lettura di questo reportage uscito ieri sul Manifesto. Quando alcuni anni fa, dopo il congresso di Chianciano, abbiamo iniziato a lavorare sulle prospettiva della costruzione del partito sociale che era stata una delle indicazioni strategiche uscite da quel congresso, ricevemmo molte critiche e plateale disinteresse condito da ironie di ogni genere da parte dell’area del PRC più politicista e non solo da quella a dire il vero. Si sosteneva che con le pratiche sociali noi non prendevamo voti, che il ruolo di un partito era un altro ecc. ecc.

Nonostante queste critiche, e nonostante la difficoltà della fase in questi anni abbiamo lavorato in questa direzione cercando di capire come, nella crisi dell’azione collettiva, costruire pratiche sociali in grado di connettersi con i settori popolari più colpiti dalla crisi cercando di essere utili e solidali.

Questo reportage di Angelo Mastrandrea, che racconta l’esperienza greca di Syriza ci dice di come l’intuizione che avevamo avuto, nel tentativo di costruire una rete di mutuo soccorso, sia stata giusta e che meritava l’impegno corale del partito. Ma un’intuizione seppur positiva deve misurarsi con la realtà concreta della società, e noi seppur con molte difficoltà abbiamo provato a farlo, nelle emergenze ambientali come in quelle sociali.

Ora occorre avere il coraggio di fare un salto in avanti, e di mettere a disposizione queste pratiche sociali che abbiamo sperimentato in uno spazio più largo, nel quale dismettere ogni settarismo senza dismettere la nostra radicalità. Non dobbiamo quindi prendere solo esempio da Syriza e dalle sue pratiche sociali, ma organizzare il partito sociale in un campo più largo di quello che siamo stati fino ad ora. Concepirlo come processo aperto nel quale misurarsi su tutti i livelli, come un motore di un processo che sia in grado di riannodare i fili della solidarietà popolare. Per questo è necessario valorizzare le esperienze che in questi anni abbiamo portato avanti cercando di connetterle con le altre forme di autorganizzazione sociale, come una delle articolazioni essenziali della ricostruzione di una sinistra anticapitalista e antiliberista nel nostro paese capace di combattere il neoliberismo e arginare la barbarie.

FRANCESCO PIOBBICHI
Direzione nazionale PRC

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Mense e cliniche, le trincee di Syriza

Nella sala d’attesa della Kifa alle spalle del Muni­ci­pio di Atene ogni paziente rimane ad aspet­tare il suo turno disci­pli­na­ta­mente. C’è chi aspetta di pre­sen­tare la pre­scri­zione medica e pren­dere i far­maci che gli spet­tano, chi è in fila per una visita odon­to­ia­trica e chi per una con­su­lenza psi­co­lo­gica. Cate­rina si occupa di smi­stare il traf­fico, indi­riz­zando i pazienti là dove serve. Snoc­ciola qual­che cifra: «Da quando abbiamo aperto, nel gen­naio del 2013, sono state effet­tuate 2.364 ope­ra­zioni den­ti­sti­che, 5.580 visite, 2.500 medi­ca­zioni e una ven­tina di ope­ra­zioni ambu­la­to­riali». A prima vista sem­bra di essere finiti in un ambu­la­to­rio medico come tanti altri, rica­vato in un con­for­te­vole appar­ta­mento del cen­tro della città. Invece si tratta di una Kifa, un acro­nimo che indica una cli­nica e far­ma­cia sociale. Qui arri­vano a farsi visi­tare o a pren­dere medi­ci­nali, a frotte, gli esclusi dalla sanità pubblica.

Sedute ad atten­dere il loro turno, due signore con­fa­bu­lano fra loro, alcuni anziani riman­gono in silen­ziosa aspet­ta­tiva. In un angolo, un signore magro, con la bar­betta bianca, ha voglia di par­lare. Rac­conta di essere espa­triato al tempo dei colon­nelli e, dopo una vita tra Stati Uniti e Canada, una decina d’anni fa è tor­nato in Gre­cia. In tempo per assi­stere al crollo. «È nor­male che siamo andati a finire così, colpa dei governi ma pure del popolo. Abbiamo vis­suto troppo al di sopra delle nostre pos­si­bi­lità e ora rischiamo di tor­nare indie­tro di cinquant’anni», dice.
La cli­nica sociale si regge sul volon­ta­riato. Ven­totto den­ti­sti si alter­nano gra­tis, fuori dal loro ora­rio di lavoro, a garan­tire cure per tutti, e lo stesso fanno psi­chia­tri, psi­co­logi, pedia­tri. Tra i danni più gravi pro­vo­cati dall’austerità impo­sta alla Gre­cia, quelli alla salute delle per­sone sono pro­ba­bil­mente i più pesanti. Solo ad Atene hanno chiuso otto ospe­dali, men­tre la spesa pub­blica per la sanità in Gre­cia è stata ridotta del 25 per cento tra il 2008 e il 2012. L’assicurazione sani­ta­ria è garan­tita solo a chi lavora e con la disoc­cu­pa­zione che affligge più di un terzo della popo­la­zione que­sto è diven­tato un pro­blema social­mente deva­stante. Ecco spie­gato per­ché le cli­ni­che sociali sono affol­late come e più di un qual­siasi ambu­la­to­rio pri­vato o pronto soc­corso pub­blico: nelle Kifa si viene per riti­rare medi­cine altri­menti troppo costose o per visite spe­cia­li­sti­che altri­menti fuori por­tata dalle tasche di una fascia di popo­la­zione espulsa dal mondo del lavoro o con red­diti ormai da fame. Su undici milioni di greci, si stima che almeno tre milioni oggi siano senza coper­tura sani­ta­ria, quasi uno su quat­tro. «Ma ci sono anche tanti che, pur avendo la coper­tura, non rie­scono a pagarsi cure spe­cia­li­sti­che o le medi­cine, visto che per­sino un esame del san­gue arriva a costare un cen­ti­naio di euro», spiega Caterina.

Que­sto spiega il pro­li­fe­rare di forme di autor­ga­niz­za­zione sociale. La rete di mutuo soc­corso è estesa e opera come una sorta di wel­fare paral­lelo, spesso clan­de­stino. Oltre alle cli­ni­che sociali, «ci sono medici che accet­tano di visi­tare gra­tis i pazienti nel loro stu­dio e altri che fanno pic­coli inter­venti chi­rur­gici. Quando sono neces­sari esami par­ti­co­lari, indi­riz­ziamo i pazienti in ospe­dali dove abbiamo dot­tori amici che li fanno di nasco­sto». La situa­zione è così tra­gica che alle cli­ni­che sociali si vede dav­vero di tutto: «Pensa che qui si sono pre­sen­tati per­sino dete­nuti in manette, accom­pa­gnati dalla poli­zia». E i far­maci? «Ci arri­vano attra­verso la rete Solidarity4all, che li rac­co­glie e poi li smi­sta alle cli­ni­che e far­ma­cie sociali. Altri ci ven­gono por­tati dalla gente. Spesso si tratta di dona­zioni dei fami­liari di per­sone che muoiono».

Quella che ho sotto gli occhi è una sorta di resi­stenza silen­ziosa, sot­ter­ra­nea, che si affianca e in molti casi ha preso il posto della rivolta di piazza che tra il 2008 e il 2009 incen­diò piazza Syn­tagma e il quar­tiere di Exar­chia, e che di tanto in tanto rie­splode con forza. Come un paio di set­ti­mane fa, quando lo scio­pero della fame di un gio­vane anar­chico appena ven­tu­nenne, Nikos Roma­nos, che pro­te­stava per l’elementare diritto a soste­nere un esame all’università, ha rischiato di togliere il coper­chio a una pen­tola ancora in ebollizione.

Attorno al Poli­tec­nico ci sono ancora i resti della bat­ta­glia. Marmi divelti tutt’attorno ai resti dell’ingresso sfon­dato dai tank dei colon­nelli, il 17 novem­bre del 1973, quasi a man­te­nere un filo tra la rivolta di allora e quelle di oggi. Negozi sbar­rati e un’aria da ribel­lione «no future», nono­stante i locali della movida gio­va­nile di Exar­chia siano fre­quen­tati come al solito. La lapide che ricorda l’uccisione di Ale­xis Gri­go­ro­pou­los è cir­con­data di mura­les, di tanto in tanto qual­cuno passa, sosta, foto­grafa, lascia una scritta. La strada è stata rein­ti­to­lata al gio­vane ucciso, come la piazza Ali­monda di Carlo Giu­liani. Ale­xis aveva 16 anni e si acca­sciò tra le brac­cia del suo grande amico Nikos Roma­nos, la sera dell’8 dicem­bre del 2008, ful­mi­nato dalla pal­lot­tola di un poliziotto.

«Quel giorno ha cam­biato la sto­ria della Gre­cia, per­ché la bat­ta­glia di quei giorni ha costi­tuito il pro­pel­lente che ha tra­sfor­mato Syriza, in bre­vis­simo tempo, da un par­ti­tino del 3 per cento alla prin­ci­pale forza poli­tica del Paese», sostiene Ada­mos Zacha­ria­des, seduto davanti al suo com­pu­ter nella reda­zione di Epohi, un set­ti­ma­nale di sini­stra che, pur indi­pen­dente come la gran parte delle cli­ni­che sociali e delle altre forme di autor­ga­niz­za­zione gre­che, costi­tui­sce una delle stam­pelle del par­tito della sini­stra radi­cale che ter­ro­rizza l’Europa. Zacha­ria­des è un noti­sta poli­tico, rac­conta sor­ri­dendo di venire da uno dei tanti grup­petti della sini­stra extra­par­la­men­tare con­fluiti nel ven­tre di Syriza («era­vamo non più di due­cento, ci chia­ma­vamo Rosa», con un chiaro rife­ri­mento a Rosa Luxem­bourg) e insieme riav­vol­giamo il nastro degli ultimi dieci anni, per pro­vare a rac­con­tare l’evoluzione di un modello che dal sociale sale alla poli­tica e non vice­versa, senza tra­la­sciare la cul­tura e l’informazione. «Le radici di Syriza sono nel movi­mento alter­mon­dia­li­sta. Gli attuali diri­genti si sono for­mati tutti nei social forum, lì hanno avuto modo di con­fron­tarsi e strin­gere rela­zioni in tutta Europa. Un’intera gene­ra­zione di greci è figlia di quella sta­gione. In seguito, nel 2006 c’è stato un for­tis­simo movi­mento stu­den­te­sco con­tro la pri­va­tiz­za­zione e Syriza è stato l’unico par­tito a sup­por­tarlo. Ma il punto di svolta vero è stato la rivolta del 2008», spiega Zacha­ria­des. L’uccisione di Ale­xis fece da deto­na­tore a un males­sere sociale che covava da tempo: quella che scen­deva in strada a scon­trarsi con la poli­zia fu defi­nita da gior­nali e tv come la «gene­ra­zione 800 euro». Pochi soldi, male­detti e soprat­tutto pre­cari, men­tre il resto del Paese spro­fon­dava sotto il peso del debito pub­blico, della cor­ru­zione e dell’evasione fiscale, e l’Europa non tro­vava di meglio che soste­nere quelle forze che ave­vano con­tri­buito a creare tutto ciò.

Sei anni dopo, chi gua­da­gna 800 euro al mese può con­si­de­rarsi for­tu­nato. Davanti al mini­stero dell’Economia mi imbatto in una pro­te­sta tutta al fem­mi­nile. Il palazzo è tap­pez­zato di stri­scioni e un grup­petto di donne di mezza età è seduto davanti all’ingresso. Una di loro fa la maglia ed è la stessa ritratta a muso duro di fronte a un poli­ziotto, in una sequenza di foto affisse al muro che testi­mo­niano di uno sgom­bero. Sono lì da sei mesi, da quando sono state dismesse per­ché l’appalto per le puli­zie è stato aggiu­di­cato a un’altra ditta, a costi infe­riori. Si defi­ni­scono «vit­time della dere­gu­la­tion». Chiedo loro quanto gua­da­gna­vano. «Tra i 500 e i 600 euro al mese, dipende dai giorni di lavoro». Sono state man­date via in 595, per un periodo hanno avuto un sus­si­dio equi­va­lente al 70 per cento del sala­rio, ora più nulla. Domando anche chi le abbia sup­por­tate, finora: «Syriza, il Kke, gli Indi­pen­denti Greci», una for­ma­zione poli­tica di cen­tro­de­stra nata da una scis­sione di Nea Demo­cra­zia del pre­mier delle lar­ghe intese Anto­nis Sama­ras, al quale hanno tolto il soste­gno politico.

Pro­te­ste del genere non sono una rarità in Gre­cia. Il mal­con­tento sociale è eson­dato dai gio­vani costretti a emi­grare alla wor­king class, la classe media è stata spaz­zata via dalla crisi e il con­senso va cer­cato su que­sto ter­reno. Finora, chi è riu­scito a trarne gio­va­mento più di tutti è Syriza, gra­zie alla lezione appresa, a loro dire, nei social forum dove si sono for­mati i qua­dri diri­genti: oriz­zon­ta­lità nelle deci­sioni, sup­porto alle lotte sociali ma senza ban­diere, assi­stenza mate­riale e pre­senza sul ter­ri­to­rio. Nel quar­tiere di Neos Cosmos la vec­chia sede del par­tito è stata ria­dat­tata in mensa per i nuovi poveri: «Non c’era mai nes­suno, veni­vano solo gli iscritti per qual­che riu­nione», rac­conta Argy­ris Pana­go­pou­los, abi­tante del quar­tiere e brac­cio destro di Ale­xis Tsi­pras nelle tra­sferte ita­liane (non­ché vec­chio amico del mani­fe­sto). E allora, via le ban­diere e cibo per tutti: a ora di pranzo c’è la fila per un piatto caldo.

A Nea Phi­la­del­phia, quar­tiere ope­raio a una quin­di­cina di chi­lo­me­tri dal cen­tro, il mini­sin­daco di Syriza Aris Vas­si­lo­pou­los ha tra­sfor­mato un edi­fi­cio pub­blico in un cen­tro di assi­stenza ai biso­gnosi. Vado a incon­trarlo il giorno dell’inaugurazione. Nel giar­dino c’è una festa popo­lare, si soli­da­rizza con cubani e vene­zue­lani venuti fin qui a soste­nere cause inter­na­zio­na­li­ste, poi tutti a pranzo come a una vec­chia Festa dell’Unità. Vas­si­lo­pou­los rac­conta i suoi tra­scorsi poli­tici, dal G8 di Genova al Forum sociale euro­peo di Firenze («ci sem­brava la rivo­lu­zione», dice, non capa­ci­tan­dosi di quello che è acca­duto in seguito in Ita­lia), poi passa a elen­care i pro­blemi del quar­tiere, dalla «mafia dei rifiuti» che gli sta facendo la guerra al ten­ta­tivo di fer­mare la spe­cu­la­zione per la costru­zione del nuovo sta­dio dell’Aek Atene. Infine spiega che, se è vero che il par­tito ha accolto diversi tran­sfu­ghi del Pasok e que­sto fa stor­cere il naso a molti, la base è invece molto più intran­si­gente: «Noi siamo molto radi­cali sulle que­stioni sociali, le per­sone votano Syriza non per ragioni ideo­lo­gi­che ma per­ché sosten­gono che la situa­zione è così grave che non pos­sono fare altro». La domanda da un milione di dol­lari è però cosa acca­drà se Syriza dovesse andare dav­vero al governo. Vas­si­lo­pou­los non nasconde un certo timore che il grande sogno di una «rivo­lu­zione greca» possa eva­po­rare di fronte a una real­po­li­tik fatta di alleanze poli­ti­che dif­fi­cili da gestire, pres­sioni finan­zia­rie inter­na­zio­nali e impo­si­zioni di Bru­xel­les. Già nella situa­zione attuale non è sem­plice gestire un muni­ci­pio di 35 mila resi­denti: «Da quando c’è il Memo­ran­dum i tra­sfe­ri­menti del governo sono dimi­nuiti del 70 per cento. Abbiamo meno soldi e con­tem­po­ra­nea­mente più respon­sa­bi­lità». La solu­zione adot­tata è ancora una volta l’autorganizzazione. Il Comune ha messo a dispo­si­zione la strut­tura, il resto lo fanno i volon­tari. Dafne Tri­co­pou­los è una di que­sti. Lavora all’ospedale psi­chia­trico, gua­da­gna 850 euro al mese “dopo 22 anni di anzia­nità” e rischia il licen­zia­mento per­ché, pur non essen­doci il cor­ri­spet­tivo greco della nostra legge Basa­glia, il governo vuole chiu­dere i mani­comi senza sapere che farne dei suoi ospiti. E nel tempo libero viene alla Soli­da­rity Cli­nic a dare una mano. Gra­tis. “Qui c’è molto da fare, più che in altri quar­tieri. La chiu­sura delle fab­bri­che ha creato molti pro­blemi psi­co­lo­gici e di depres­sione agli ex ope­rai», dice. Gior­gios Dia­man­tis, che si defi­ni­sce ammi­ra­tore di Gram­sci, vive tutto ciò come un attacco ai lavo­ra­tori: «Sia chiaro, per noi quella che stiamo com­bat­tendo è una lotta di classe».

Il quar­tier gene­rale della sini­stra sociale è nella cen­trale via Aka­di­mia. Al set­timo piano di un palazzo come tanti altri c’è la sede di Soli­da­rity for all, il net­work dei cen­tri di mutuo soc­corso, delle mense e cli­ni­che social e dei cen­tri di assi­stenza agli immi­grati. In una stanza sono acca­ta­state sca­tole di medi­ci­nali, un’altra è adi­bita a stu­dio legale, un’altra ancora ospita gli atti­vi­sti che si occu­pano del soste­gno al movi­mento coo­pe­ra­tivo. Su un ter­razzo dal quale si gode di una pano­ra­mica da bri­vido dello sprawl urbano ate­niese sono pog­giate alcune con­fe­zioni di sapone liquido pro­dotte dalla Vio​.me di Salo­nicco, la fab­brica recu­pe­rata di Salo­nicco defi­nita da Naomi Klein «un segnale di spe­ranza cri­tica» per l’Europa. Chri­stos Gio­van­no­pou­los, uno dei respon­sa­bili della cam­pa­gna, sro­tola una mappa dell’Attica sulla quale sono indi­cate le roc­ca­forti della gau­che ate­niese: far­ma­cie sociali, scuole per immi­grati, cen­tri sociali. Sono decine, una legenda spiega il nome e l’attività di ognuna. Ce n’è per­fino una che si chiama Lacan­dona, zapa­ti­sti nella giun­gla urbana ate­niese. «Abbiamo tre linee prin­ci­pali di azione: il cibo con le mense sociali e la distri­bu­zione di viveri, la sanità con le cli­ni­che e far­ma­cie, e le coo­pe­ra­tive», spiega Gio­van­no­pou­los. Soli­da­rity for all aiuta i lavo­ra­tori a recu­pe­rare le aziende che chiu­dono: un feno­meno che è comin­ciato qual­che anno fa alla Vio​.me e attorno al quale si sta strut­tu­rando un vero e pro­prio movi­mento.
In nome di Poulantzas

Chissà cosa avrebbe detto oggi Nicos Pou­lan­tzas se non si fosse lan­ciato dalla fine­stra dell’abitazione di un amico il 3 otto­bre 1979 a Parigi, ad appena 43 anni. È quello che si chie­dono all’Università Pan­teion, in un quar­tiere di palaz­zoni che non fanno rim­pian­gere la peri­fe­ria romana. Il Pou­lan­tzas Insti­tute, think thank inti­to­lato al filo­sofo mar­xi­sta greco allievo di Louis Althus­ser, ha orga­niz­zato due giorni di dibat­tito sulla crisi euro­pea, alla quale par­te­ci­pano stu­diosi e atti­vi­sti, soprat­tutto del nord Europa. La crisi greca ha pro­vo­cato come effetto col­la­te­rale una risco­perta del Gram­sci elle­nico, che ebbe lo sguardo lungo sul futuro del con­ti­nente. Pou­lan­tzas aveva già pre­fi­gu­rato un’Europa divisa tra cen­tro e peri­fe­ria, con i paesi medi­ter­ra­nei sopraf­fatti sia dal capi­tale inter­na­zio­nale che dalle avide bor­ghe­sie nazio­nali. E sem­bra che ci abbia preso.

L’aspetto cul­tu­rale non è secon­da­rio nel «modello Syriza». «Abbiamo stu­diato tanto in que­sti anni», dice Ada­mos Zacha­ria­des, che snoc­ciola i rife­ri­menti teo­rici del partito-coalizione che sta rivo­lu­zio­nando la sini­stra euro­pea: da Etienne Bali­bar a Michel Fou­cault, pas­sando per Cor­ne­lius Casto­ria­dis e Gior­gio Agamben.

Ale­xis Tsi­pras non è nella sede del par­tito. L’uomo più temuto d’Europa è in cam­pa­gna elet­to­rale per­ma­nente, impe­gnato a schi­vare gli euro­sgam­betti di Jean Claude Junc­ker e le spal­late del pre­mier Anto­nis Sama­ras. Da quando si è deli­neata l’ipotesi di un ritorno anti­ci­pato alle urne e dai son­daggi Syriza risulta il primo par­tito di Gre­cia, la tem­pe­ra­tura poli­tica del Paese è improv­vi­sa­mente salita, in misura pro­por­zio­nale al crollo della Borsa. Nel quar­tier gene­rale del par­tito, in piazza Elef­the­ria, si denun­cia il «ter­ro­ri­smo» delle élite interne e di quelle euro­pee, le stesse che hanno ridotto il Paese allo stremo e ora annun­ciano sce­nari da Argen­tina 2001 a par­tire dal giorno dopo la vit­to­ria dell’uomo che minac­cia di ribal­tare il dogma tede­sco dell’austerità. «Il pro­blema per Tsi­pras sarà gestire la tran­si­zione», dice un ana­li­sta alla tv. Una fase di tur­bo­lenza è con­si­de­rata quasi ine­vi­ta­bile, «ma noi siamo pronti a tutto», rispon­dono da Syriza. Dal 2008 per il par­tito della sini­stra radi­cale un tempo fra­tello minore, e acer­rimo rivale, dei comu­ni­sti del Kke, è stato un cre­scendo: gli ultimi son­daggi lo danno, in caso di pro­ba­bili ele­zioni anti­ci­pate, tra il 25 e il 28 per cento. La bat­ta­glia si com­batte nelle piazze e sui media. La galas­sia Syriza può con­tare sul quo­ti­diano Avgì e radio Kok­kino, non­ché sul set­ti­ma­nale d’area Epohi e su isti­tuti cul­tu­rali come il Pou­lan­tzas. Ma non basta. Biso­gna sfon­dare sui media main­stream ed è l’operazione più dif­fi­cile, anche se qual­che brec­cia si sta aprendo, se è vero che per­sino una Bib­bia del capi­ta­li­smo glo­ba­liz­zato come il Finan­cial Times è stata costretta ad ammet­tere, sia pur a malin­cuore ma con one­stà, che gli unici ad avere le idee chiare su come si possa uscire dalla crisi in Europa sono due par­titi di fronte ai quali gli alfieri teu­to­nici dell’ordoliberismo sbuf­fano come i tori come quando vedono rosso: Syriza, appunto, e lo spa­gnolo Podemos.

Altra stam­pella fon­da­men­tale sono le alleanze inter­na­zio­nali. Metà della sfida di Tsi­pras si gioca in Europa, e per que­sto nei con­ve­gni di Syriza poli­tici e mili­tanti di Pode­mos e della tede­sca Linke sono di casa. «Ma c’è un pro­blema: nes­suna di que­ste forze è al potere», ricor­dano in molti., temendo che la sini­stra greca possa tro­varsi sola al governo, a soste­nere una sfida più grande di lei . Il para­dosso è che men­tre Syriza è pro­iet­tata all’esterno, con­sa­pe­vole che la bat­ta­glia la si vince o si perde tutti insieme, in Europa molti guar­dano a Syriza con spe­ranza, sì, ma come spet­ta­tori di una par­tita che si gioca altrove.

ALFIO MASTROPAOLO

da il manifesto

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