di Giusto Catania

Adesso il quadro politico palermitano è chiaro e, ancora una volta, la Sicilia diventa laboratorio per delineare una prospettiva per la politica nazionale.

A Palermo si può scegliere tra le varie tendenze politiche e culturali che stanno definendo il nuovo corso della politica italiana.

(Almeno al primo turno, anche perché con tutti questi candidati sarà difficile avere un vincitore con oltre il 50% delle preferenze.)

Chi si ostina ad interpretare le vicende politiche con le lenti deformate del bipolarismo è rimasto alla preistoria della seconda Repubblica, quando era facile mettersi d’accordo semplicemente scegliendo il campo di gioco: pro o contro Berlusconi. Ciò, nell’ultimo ventennio, ha determinato un’inesorabile trasformazione della politica e del “senso comune di massa” del Paese.

Il bipolarismo italiano è ormai sepolto e ciò per “merito” di un’operazione politica che ha portato alla nascita del governo Monti e, così, un’indistinta poltiglia centrista sta ricostruendo il legame col blocco di potere che, dopo averlo scelto come interlocutore privilegiato, ha deciso di mollare Berlusconi.

La ragione prioritaria del fallimento delle primarie palermitane è da ricercare in questo tentativo disperato di ricondurre ad una semplificazione bipolare un quadro politico evidentemente frammentato.

Non si può pretendere di stare nella stessa coalizione se si hanno idee diverse sul mondo, sul governo Monti, sulle lacrime della Fornero, sulla natura del governo Lombardo, sulle scelte politiche del governo regionale, sulla modalità di stare all’opposizione in una città governata dalla destra, sulle priorità di un futuro governo locale che non può oscillare tra opzioni incompatibili come la privatizzazione dei servizi locali e la tutela dei beni comuni.

La seconda ragione è organica alla crisi della politica e alla fine del ruolo dei partiti. Le organizzazioni tradizionali, spesso apostrofate come sterili luoghi di potere, sono state sostituite da forme meno nobili di rappresentanza politica: da comitati elettorali trasversali ai partiti, da lobby di pressione che scelgono gli assessori trasversalmente per tutti i candidati, da luoghi di potere individuali ed individualisti e, per definizione, privi della visione di “intellettuale collettivo”. Partiti individuali o peggio individui che si trasformano in partiti.

Ciò, come diceva Antonio Gramsci, ha favorito il “trasformismo molecolare” che ha caratterizzato gli ultimi mesi della vita politica palermitana. Sia a destra che a sinistra, per usare una formulazione da quadro politico bipolare.

Infine, le primarie falliscono per una terza ragione. Dentro l’eterogenea coalizione si sono manifestati diversi modi di organizzare il consenso: è apparso evidente come alcuni candidati siano stati travolti da odiati machiavellismi tanto da legittimare il raggiungimento dell’obiettivo con tutti i mezzi possibili.

Non è retorico affermare che tale idea della politica non debba trovare cittadinanza nelle pratiche di chi vuole cambiare Palermo, altrimenti si sancisce un’evidente trasformazione della natura profonda del centrosinistra.

La coalizione si è già snaturata, ha già rinunciato alla sua alterità, alla sua levatura morale scegliendo di competere su un terreno che, fino a poco tempo fa, veniva rifiutato.

La costruzione del consenso e la modalità di raccolta dei voti, in una città come Palermo, non sono una semplice questione formale. Attiene alla natura politica ed etica della politica. A Palermo la questione morale non è un fatto da relegare alle competenze della magistratura ma è prioritariamente una seria questione politica. E non un monile da esibire.

Questa campagna elettorale si gioca su un binomio inscindibile: oblio e memoria. A destra si sta scegliendo di cancellare la disastrosa gestione della città e di omettere le responsabilità, come se le dimissioni di Cammarata avessero cancellato, con un colpo di spugna, una pagina d’infinita tristezza per Palermo. Tutti si affidano alle nuove leve allevate e foraggiate nelle mangiatoie di Forza Italia e Alleanza Nazionale, insieme a cuffariani della prima ora, lombardiani riciclati, autonomisti da mercato delle vacche, suddisti di recente investitura.

E a sinistra? Si è consumata una rottura? O più precisamente un atto di chiarezza? Da un lato ci sono i sostenitori di Monti e Lombardo e dall’altro chi intende costruire uno spazio politico autonomo che guardi al cambiamento, in Sicilia e in Italia. Questa seconda operazione si realizza attorno alla figura di Leoluca Orlando e con forze politiche come la Federazione della Sinistra, i Verdi e Italia dei Valori che, senza ambiguità e trasversalismi, hanno scelto la chiarezza, in Sicilia e a Roma.

A Palermo, al secondo turno, sarà possibile determinare quale tra queste due opzioni che vivono nell’ex centrosinistra dovrà guidare la riscossa per sconfiggere le destre. A sinistra, anche a Palermo, si è aperta la sfida per l’egemonia, per dirla con Antonio Gramsci.

Un caro amico che ha scelto di vivere lontano da Palermo e che riesce a leggere la situazione con sguardo distaccato sostiene, a ragione, che le primarie palermitane siano state illuminanti e che abbiano evidenziato, senza infingimenti, la vera natura di candidati e partiti.

È calato il velo dell’ipocrisia, si sono svelate le ambizioni, si è compresa la collocazione di forze politiche che ambiscono a narrare la trasformazione ma puntualmente fanno da supporto al continuismo.

Pertanto, qualcuno potrebbe obiettare che, nello scenario palermitano appena descritto, vi sia una anomalia: la collocazione di Sinistra Ecologia e Libertà.

Ma non è affatto una novità. Anche alle recenti amministrative di Napoli SEL scelse di rimanere agganciata al carro del PD perdendo l’opportunità di contribuire alla vittoria di De Magistris. Perseverare è diabolico! Ma evidentemente questa scelta non è da considerarsi una anomalia e probabilmente attiene alla natura di questa forza politica che rappresenta sempre più una variabile, sì di sinistra ma tutta interna, del PD.

Palermo, Sabato 24 Marzo 2012