di Francesco D’Agresta (esserecomunisti.it)
Provo a raccontare le due giornate che io e altri quattro compagni della provincia di Pescara abbiamo vissuto come primo nucleo di Rifondazione Comunista a L’Aquila.Immediatamente lunedì 6 a poche ore dalla scossa principale il nostro partito si mette in moto e la sede della federazione di Pescara diventa subito il quartier generale del partito per i soccorsi ai terremotato, si iniziano ad apprestare elenchi di volontari, di disponibili ad accogliere gli sfollati e si pubblicano i primi appelli alla solidarietà. Mentre i telefoni squillano incessantemente e il circolo “Gramsci” di Pescara si trasforma in un centro di raccolta materiali, dai compagni di Roma arriva la disponibilità di una cucina da campo (una di quelle che utilizziamo per le feste di Liberazione), sono le 18.00 è mi viene detto di trovare 5 compagni disposti a partire subito per L’Aquila per andare incontro ai compagni romani che stanno partendo con la cucina. Dopo un’ora siamo pronti e partiamo immediatamente con la mia panda, senza niente solo con quello che abbiamo addosso qualche sacco a pelo ed una tenda.
Sull’autostrada ci fermiamo nell’unico autogrill tra noi e L’Aquila e compriamo un po’ di alimenti ed acqua da portare agli sfollati, è notte è subito cominciano le difficoltà: da Roma ci sono problemi con la cucina che sembra rotta e ne va trovata un’altra, intanto qui comincia a piovere e la panda sembra arrancare lungo la statale carica com’è. Lungo la strada incontriamo interminabili file di auto civili che stanno lasciando la provincia de L’Aquila, mentre i direzione contraria ci siamo solo noi e qualche ambulanza, Mentre ci avviciniamo ci si inizia a rendere conto della tragedia e si vedono le prime case squarciate, se pur lontane dall’epicentro. Le indicazioni che abbiamo sono minime e non abbiamo nessuna idea di dove sia il posto da raggiungere, così arrivati nei pressi del capoluogo abruzzese comincia un’odissea che durerà tre ore. La disorganizzazione è ancora massima e ogni volte che chiediamo indicazioni alle forze dell’ordine veniamo spediti in un posto diverso e sempre sbagliato, ma le strade cominciano a riempirsi di colonne di Protezione Civile proveniente da tutt’Italia, chiunque con cui parliamo ci risponde di essere friulano, veneto, toscano. Ci viene detto di prendere l’autostrada per raggiungere la nostra destinazione, tentiamo, ma ci viene negato l’ingresso in quanto non membri della Protezione Civile. Dopo due ore decidiamo di recarci al centro de L’Aquila e lì finalmente incontriamo un cittadino aquilano che mentre fuma un sigaro e dopo averci ringraziato di essere venuti, ci da indicazioni più concrete. Seguiamo l’indicazione, ma, tra la confusione generale e la nostra ci perdiamo tra le montagne dell’aquilano, riusciremo a raggiungere il campo di Centicolella (nostra prima destinazione) solo grazie alle indicazioni del segretario regionale PRC Marco Fars che ci guida in presa diretta mentre consulta Google Map.
Appena arrivati al campo la prima impressione è quella di un parcheggio, centinaia di macchine posteggiate davanti un campo da rugby, scendiamo dall’auto e ci rendiamo conto che sono piene di sfollati con bambini, anziani e qualche animale domestico, ho impresso il ricordo di un gatto nero che dormiva tra le braccia della padrona. Il campo è totalmente infangato dalla pioggia, anche a piedi le scarpe affondano e c’è gente con solo le pantofole. Ancora non ci sono tende, non c’è nulla il primo ristoro viene fornito dai ragazzi dell’AGESCI. Noi intanto cerchiamo un responsabile con il quale stabiliamo un primo contatto, dopo un quarto d’ora arrivano i furgoni da Roma con la cucina guidati dal compagno Francesco Piobbichi. Noi abbiamo voglia di dare una mano subito e di iniziare a montare la cucina così da essere pronti per il mattino a servire la prima colazione, ma rimaniamo fermi per ore. Discutiamo continuamente con i responsabili, ma la burocrazia sembra essere più forte, chi siamo, chi ci ha mandati le domande che ci vengono rivolte continuamente e “io non sono autorizzato”, “dovete chiamare la direzione centrale” e cosa di questo genere sono le risposte che ci vengono dare, intanto arriva una scossa, per noi è la prima, ma non siamo spaventati, o meglio scacciamo la preoccupazione con qualche battuta, ma immediatamente ci viene contro la tragicità della situazione: da un grande tendone dove alcuni erano alloggiati escono decine di sfollati terrorizzati e in lacrime e comincia a salire l’angoscia alimentata dal nostro senso di impotenza. Passano le ore e circa alle tre di notte prendiamo atto che non hanno intenzione di farci lavorare e dopo aver dato una mano autonomamente a scaricare materassi e brandine dai container del Ministero, decidiamo di riposare qualche ora, chi nei furgoni, chi in macchina, chi in tenda. In tutta la notte riusciremo a dormire qualche manciata di minuti, c’è un freddo insopportabile, dentro la tenda non riesco neanche a prendere sonno così intorno alle 4.30 decido di uscire e vedo arrivare decine di Tir e sotto il volo continuato degli elicotteri, tra qualche imprecazione la macchina dei soccorsi comincia a prendere sonno. Non ho mai sentito così freddo, scambiamo qualche battuta e pensiamo a quelli che dovranno passare notti così terribile per chissà quanti mesi.
Finalmente arriva la mattina, sono circa le sette, veniamo mobilitati in cinque minuti, gettiamo tutto in auto e partiamo, quasi ancora dormendo, alla volta di Tempera, dove finalmente siamo stati destinati.
Per raggiungere la destinazione attraversiamo L’Aquila e lo scenari è drammatico, la città è deserta se non fossa per le centinaio di volontari che corrono in tutte le direzioni, ci sono case totalmente distrutte ed altre inagibili, con i bagni ed i letti visibili dall’esterno. Mi fermo per chiedere indicazioni ad un Vigile del Fuoco che mi risponde: “Cosa andate a fare a Tempera, lì non è rimasto più nulla!”, gli spiego che siamo volontari allora mi rivolge un sorriso, mi tende la mano e ringraziandomi ci indica la strada. Mentre ci addentriamo nelle frazioni aquilane attraversiamo nuclei di case violentate dal terremoto tra le strade coperte di macerie e i Vigili del Fuoco, i veri eroi tra i soccorritori, che camminano sui tetti per mettere in sicurezza e procedere alla ricerca di superstiti.
Arriviamo a Tempera, su uno spiazzo di breccia i volontari del Servizio Civile stanno approntando le prime tende, cominciano ad avvicinarsi i primi civile con le facce totalmente alienate, non dicono una parola, si abbracciano mentre piangono. Gli anziani rimangono immobili mentre fissano il vuoto e osservano la vallata, si avvicina una donna con un bambino piccolissimo, qualche mese, ci chiede del latte, ma non c’è.
Cominciamo a montare la cucina, i compagni romani sono esperti e preparati e procediamo velocemente, ma ricominciano da parte dei responsabili le domande della sera prima, ci dicono di fermarci, qualcuno di noi comincia seriamente a spazientirsi, ma continuiamo a montare, l’idea è “una volta che avremo montato e cominceremo a dar da mangiare a chi ha perso la casa, chi avrà il coraggio di cacciarci”.
Non c’è acqua corrente.
Intano due compagni partono per trovare del cibo, chi è rimasto o comincia a preparare per il pranzo o aiuta nel montaggio di tende o allo scarico dei camion.
Intorno alle tredici siamo finalmente attivi, forniamo i primi pasti: panini, l’unica cosa che abbiamo per il momento, la popolazione si avvicina timidamente e ci ringrazia ad ogni panino che serviamo.
Dopo un’ora siamo pronti per la pasta e la situazione cambia, ormai siamo il punto di riferimento del campo, si crea una fila lunghissima e si verificano i primi momenti di tensione tra chi è in fila.
Nella cucina il ritmo è elevatissimo per più di due ore non ci fermiamo un attimo, la gente è veramente affamata e solo il lavoro ci distrae dallo sconforto. Molti sono in pigiama, i bambini festeggiano per una bottiglia d’acqua e tra loro ci sono molti provenienti dall’estero, spesso badanti.
Anche la Protezione Civile e i VV. FF. vengono da noi per mangiare e rifornirsi d’acqua, sono coperti di polvere e stremati dal lavoro, mangiano e ripartono immediatamente.
Vengono assegnate, non senza difficoltà, le prime tende.
Finalmente arriva il latte e lo distribuiamo ai bambini, tra un’ondata di pasta e l’altra distribuiamo di tutto, un anziano in pigiama entra nella cucina, è magrissimo, non parla, è sconvolto, porta continuamente la mano alla bocca per segnalarci che ha fame. Intanto arriva della frutta che va a ruba.
Rallenteremo il ritmo solo verso le 17.00 chi ha cucinato è stanchissimo, ma risponde sempre con un sorriso e con la massima cortesia a chi gli chiede ancora da mangiare. Intanto altri di noi allestiscono una tenda magazzino, che a fine giornata diventeranno tre, con il materiale che comincia ad arrivare da Pescara raccolto dal Partito in tutt’Italia. Arriva anche la stampa ed aiutiamo a chiudere le tende di chi proprio non se la sente di farsi riprendere o intervistare.
Spunta fuori un pallone ed è una rivoluzione per i bambini, qualche sorriso si percepisce sulla bocca delle madri.
Il sole che era stato cocente per tutta la giornata comincia a scendere, c’è un po’ di calma, regaliamo qualche uova di pasqua, ma bastano solo per pochi bambini.
Bisogna cominciare a preparare la cena, siamo da supporto ad un migliaio di persone, anche se non riusciamo a raggiungere ancora tutti i piccoli campi della zona.
Ora il campo è la cucina sono quasi a regime è la Tempera “di Rifondazione”, arrivano altri compagni da Pescara, sarà allestito un asilo ed il lavoro molto probabilmente continuerà per mesi.
Non smettiamo mai di aiutarli.