16/01/2013 – Da diversi giorni tutti gli organi d’informazione non parlano d’altro che di “incandidabili” nelle liste del PD; ed è naturale, considerato che giorno dopo giorno escono curricula da fare accapponare la pelle. Dalle nostre parti non possiamo certo lamentarci, tutt’altro: facciamo scuola! Noi abbiamo Crisafulli, il portabandiera di questa schiera di personaggi.
La sua candidatura crea seri imbarazzi ad un partito che, in verità, ha abbandonato da tempo non solo il “comunismo”, ma la parte migliore di quella grande vicenda umana e politica scritta nella storia di questo Paese col sangue dei suoi uomini migliori.

Carmelo Albanese

Vladimiro Crisafulli è un mafioso? Non lo so, e per molti versi non mi interessa. Quello che so è che nel 2001, nella hall di un hotel di Pergusa, ha incontrato un boss mafioso con il quale ha discusso di appalti e non solo. La sua vicenda giudiziaria è chiusa, poiché i giudici hanno stabilito di non potersi procedere in quanto gli argomenti discussi in quella occasione non hanno prodotto fatti riscontrabili. Giusto. La magistratura ha preso la sua decisione attenendosi alla legge; non ha fatto una valutazione politica, non avrebbe potuto e non avrebbe dovuto farla. Quella, invece, tocca farla a noi: a noi cittadini, innanzitutto; a noi che siamo impegnati politicamente. A noi, insomma. E al PD, a tutto il PD, a partire dall’iscritto del più piccolo comune d’Italia, passando per la commissione di Garanzia fino ad arrivare a Pierluigi Bersani. La domanda alla quale bisogna rispondere è la seguente: come si concilia la presenza nelle stesse liste di un magistrato antimafia come Pietro Grasso e di un senatore che si è appartato in un hotel con un boss della mafia? Qual’è la vera natura del PD? Quella che esprime la candidatura di Grasso o l’altra, quella che pensa che i mafiosi sono dei criminali e che, per ciò, non si possa e debba incontrarli, a maggior ragione se si ricopre un ruolo pubblico?
Leggo da diversi giorni interventi sulla stampa locale di vari galoppini che fanno a gara per esprimere solidarietà al senatore Crisafulli, oggetto della “vile aggressione” mediatica e mistificatoria (ci pensate? Sono gli stessi argomenti dei berluscones..incredibile!); eppure, quello apparso stamane (16 gennaio 1913) sul «Giornale di Sicilia» merita di essere letto più d’ogni altro. L’autore è Cataldo Salerno, presidente a vita del “laureificio” Kore. Non è certo la prima volta che Salerno ci delizia con interventi “originali”; nel corso della sua non breve carriera politico-amministrativa ci ha abituati a sentire ed a leggere le cose più assurde. Ma oggi possiamo senza tema di smentita affermare che si è superato e, mentre tutti discutono se candidare o no il senatore che si incontra col boss, ecco che chiarisce tutto a noi umili mortali il mitico Président: “non ha capito un cazzo nessuno – sembra dirci  -; Mirello va candidato per rappresentare di più e meglio in Parlamento…LE RAGIONI DELL’ANTIMAFIA!”. Se la cosa non fosse tragica sarebbe comica.
Salerno mostra una conoscenza straordinaria dei fatti accaduti undici anni or sono, e già questo è di per se curioso: perché ha tutte queste informazioni? Era presente? E se non si trovava lì chi gliele ha date? Ha letto il libro «I complici» di Lirio Abbate addivenendo a conclusioni opposte a quelle del giornalista? Oppure ha visto e/o ascoltato l’intercettazione ambientale dei carabinieri? Su quale base ha la certezza che le cose siano andate come lui dice? In secondo luogo – ed è questa la cosa a mio avviso più sconcertante – Salerno fornisce una interpretazione di quell’accadimento assurda, epperò rivelatrice del modo che hanno questi signori d’intendere il fare politica. Difatti, dice in sintesi il presidente: “Non guardate al fatto in se, ma alle risposte che Crisafulli fornisce a Bevilacqua e al modo in cui lo fa”. MA NON SE NE PARLA NEMMENO!
Noi, i cittadini intendo, non siamo inquirenti. Delle risposte date da Crisafulli si sono già occupati i magistrati e, sul piano giudiziario, hanno tratto le loro legittime conclusioni. A noi tocca piuttosto il compito di guardare al fatto, porci alcune domande e, infine, “giudicarlo politicamente”. E allora: quale giudizio si può esprimere su un uomo politico che non disdegna di incontrarsi con un mafioso? Perché le cose sono due e, come si dice, tertio non datur: Crisafulli sapeva che Bevilacqua era un capomafia? Se si non avrebbe dovuto nemmeno prenderci un caffè in tutta fretta, figuriamoci intrattenersi con lui affrontando questioni a dir poco “equivoche”. Non lo sapeva? Beh, e allora non è un buon uomo politico visto che, malgrado sia stato eletto diverse volte, dimostra di non conoscere il territorio e  gli assetti dell’organizzazione mafiosa.
In entrambi i casi la vicenda “Crisafulli-Bevilacqua” getta ombre e sollecita domande inquietanti sul senatore tellurico che, di certo, non contribuiscono a diradare i continuativi endorsement dei capi-elettori provinciali né, tanto meno, le considerazioni deliranti del presidente di una università retta da un “fratello” massone come Gianni Puglisi (componente, tra l’altro, del “comitato scientifico” di «Hiram», la rivista del Grande Oriente d’Italia) e già da tempo abbondantemente screditata.
Carmelo Albanese