GELA
La protesta dei lavoratori di Gela, dipendenti dell’Eni e dell’indotto, nasce dal mancato rispetto del protocollo siglato nel 2014 che prevede il mantenimento dei livelli occupazionali nell’area interessata. Da una parte l’azienda si impegna alla bonifica e al risanamento ambientale di un territorio pesantemente  inquinato e all’avvio della bioraffineria (220 milioni), legata ad un modello di produzione agricola inaccettabile, dall’altro governo nazionale e regionale rilasciano autorizzazioni senza limiti per la trivellazione del mare e della terra. Ancora una volta uno scambio assurdo tra lavoro (presunto) e ambiente.
In realtà non è stato prodotto  né un serio programma di riconversione industriale, né una credibile proposta di sviluppo produttivo che non ricalchi i deja vu devastanti del passato, fatti di abbandono degli impianti produttivi, come nel caso della Fiat di Termini Imerese, di assistenzialismo, di emigrazione, di saccheggio neocoloniale delle risorse naturali di un sud da depredare, per responsabilità del partito unico delle classi dirigenti che mette assieme Confindustria, centrodestra e centrosinistra, con le organizzazioni sindacali condannate ad un ruolo subalterno.
Mimmo Cosentino, segretario regionale Prc Sicilia