L’INCHIESTA/ Le procure di Napoli e Civitavecchia indagano sul fenomeno
Dieci gli indagati, ottanta società neel mirino. Una truffa da decine di milioni
di CARLO BONINI su Repubblica del 26/07/2009
ROMA – Sono almeno quattromila i carri merci fantasma he circolano sulla nostra rete ferroviaria. Dei rugginosi zombie su ruote, riverniciati alla bene e meglio. Carrette esauste, a fine vita, già di proprietà delle Ferrovie dello Stato, destinate alla rottamazione di ogni loro componente meccanico e strutturale, ma mai rottamate. Piuttosto, riavviate sul mercato con numeri di telaio taroccati e oggi utilizzate da aziende private o per il trasporto generico delle merci, ovvero per la movimentazione di ghiaia, terra e materiale di risulta nei cantieri dove quelle stesse ditte spesso lavorano in appalto o subappalto con le Ferrovie.All’indomani della strage di Viareggio, la domanda posta dall’inchiesta di “Repubblica” il 6 luglio scorso (“In Italia, quanta roba cannibalizzata e criccata circola?”), nel primo di una serie di articoli sul lato oscuro del traffico merci nel nostro Paese, sulla manutenzione dei carri e la loro “cannibalizzazione” e “rigenerazione”, trova una prima risposta. Per altro, solida, se si sta alla fonte che documenta la stima. Perché quel numero di carrette – 4000 – e l’avverbio (“almeno”) che ne autorizza una lettura per difetto, lasciando immaginare ordini di grandezza persino superiori, è ora documentato dal lavoro istruttorio che, da due anni, la Procura della Repubblica e il nucleo di Polizia tributaria della Guardia di Finanza di Napoli stanno conducendo proprio sul mercato nero dei carri merci.
Pur avaro nei dettagli (il pubblico ministero napoletano Francesco Curcio spiega con cortesia che l’indagine è in una fase “troppo delicata anche soltanto per discuterne in termini generici”), il quadro investigativo campano – per quel che si è riuscito sin qui a ricostruire attraverso fonti qualificate che hanno avuto parte nell’indagine o ne sono oggetto – conta almeno una decina di indagati, un’ottantina di società e ditte sotto osservazione. Conferma lo schema che, già alla fine del 2006, era emerso dall’audit interno condotto dalle Ferrovie che aveva portato al licenziamento dell’ingegnere Raffaele Arena, già responsabile della manutenzione dei merci. Ma, soprattutto, documenta che il mercato nero dei carri merci non è stato fino ad oggi l’esito truffaldino e isolato della spregiudicatezza di qualche imprenditore del settore della rottamazione e manutenzione, o di qualche infedele funzionario delle Ferrovie. Ma un “sistema”. Che mette in fila una robusta catena di reati – truffe, abusi di ufficio, false fatturazioni, falsi documentali, violazioni delle certificazioni sulla sicurezza e sullo smaltimento di rifiuti speciali quali le carcasse dei carri merci – e che una qualificata fonte investigativa descrive così: “Per consentire a un carro merci destinato alla rottamazione di tornare in circolo “ripulito” è stato necessario prima falsificarne l’identità a monte. Quindi, giustificarne i singoli passaggi di proprietà a valle”.
Lo si può dire anche in altre parole: sono stati manomessi i registri Fs che documentavano la rottamazione dei carri e dunque ne certificavano formalmente la “sparizione amministrativa”, quindi alterati fisicamente i loro numeri di telaio, e naturalmente messa insieme una consistente documentazione posticcia che consentisse al privato, acquirente finale, di giustificare in qualche modo come di quei carri era entrato in possesso. Passaggi che – per usare ancora le parole della fonte investigativa – provano, visti i numeri (“almeno 4 mila i carri riciclati”), “o complicità, ovvero disattenzioni macroscopiche e diffuse nelle Ferrovie di Stato”. Su cui dunque si misurerà la differenza tra l’essere stati vittime ovvero complici di una truffa da diverse decine di milioni di euro che, cannibalizzando il materiale rotabile di Fs, di fatto ha attentato alla sicurezza complessiva del trasporto merci. E che proprio per questo, oggi, mettono le stesse Ferrovie nella complicata posizione di dover ammettere o una disastrosa negligenza nella sorveglianza del proprio parco merci, o, al contrario, una connivenza con il “sistema” di una parte almeno della sua più recente dirigenza.
Del resto, si scopre ora che a confermare per diversa e autonoma via l’esistenza di un “sistema”, a smentirne la natura episodica o territoriale (la Campania), è il lavoro istruttorio che dall’inizio del 2007 hanno avviato un’altra Procura della Repubblica – Civitavecchia – e la Polizia Ferroviaria di Roma. Anche qui, come a Napoli, l’incipit è casuale. Se infatti la Guardia di Finanza, nel 2006, tira i suoi primi fili di indagine a partire da due carri merci taroccati ritrovati su un binario morto nelle campagne di Sessa Aurunca (Caserta), il lavoro della Polfer, tutt’ora in corso, comincia, nel 2007, inseguendo ladri di rotaie. Ne spariscono – come documenta una denuncia della stessa Rfi (la società di Fs che gestisce la Rete) – 450 tonnellate nello scalo di Tarquinia (a nord di Civitavecchia), in un via vai di camion senza insegne che caricano quella merce per depositarla in capannoni privati, in Umbria e Toscana, dove di rotaie di frodo ne verranno trovate 10 mila tonnellate. Normalmente destinate, per quel che accerterà l’indagine, alla costruzione di snodi adibiti al collegamento tra la Rete di Ferrovie e depositi di stoccaggio di proprietà di aziende private che lavorano nel trasporto merci.
Nel novembre scorso, finiscono così in manette in dieci, tra imprenditori e funzionari delle Ferrovie. Ma quel che più conta è che l’ascolto dei telefoni degli indagati, consente alla Polfer di scoprire che il mercato delle rotaie di risulta ha un suo perfetto calco e protagonisti comuni in quello dei carri merci.
L’indagine di Civitavecchia, di “zombie” taroccati ne individua 52, del tipo cosiddetto “tramoggia” (adibiti cioè al trasporto dei materiali necessari alla lavorazione nei cantieri ferroviari: dal pietrisco, alla sabbia, alla ghiaia, alla terra) cui è stata contraffatta la sigla del telaio. In alcuni casi, i carri spariscono direttamente dai depositi delle Ferrovie che custodiscono materiale rotabile in disuso. In molti altri, fanno parte – come si è già visto nell’inchiesta di Napoli – di lotti destinati a rottamazioni che si accerteranno fittizie. Per altro, alcune delle società destinatarie dei carri contraffatti – nel sud del Paese, come anche in Emilia e Toscana – coincidono con quelle già emerse dagli accertamenti della Guardia di Finanza. Insomma, uno stesso mercato nero, uno stesso “sistema”, uno stesso canovaccio dai medesimi interpreti.
Interpellate da “Repubblica” sulla capacità di “controllo” del proprio parco merci destinato a rottamazione e mai rottamato, e dunque sul cuore delle questioni poste dalle inchieste di Napoli e Civitavecchia, le Ferrovie dello Stato scelgono il silenzio. Gilberto Galloni, amministratore delegato di “Fs logistica”, la società del gruppo che ha competenza sul trasporto merci, fa sapere attraverso la sua segreteria di non poter rispondere “perché impegnato in una missione all’estero”. Il portavoce di Fs, Federico Fabretti, dopo aver chiesto ventiquattro ore di tempo, dice: “Abbiamo scelto di non rilasciare alcun dato aziendale perché c’è un’inchiesta in corso”.