Susanna Camusso ha provato a chiedere la delega al comitato centrale per firmare la riforma Fornero, ma non gli è stata concessa. Cresce l’opposizione interna contro un accordo troppo sbilanciato.
Se giovedì le agenzie battevano notizie confortanti sull’esito della trattativa che vede tre prime donne in scena – Fornero, Camusso e Marcegaglia – al punto che la segretaria della Cgil parlava di passi avanti, ieri il messaggio inviato ancora dalla loquace Susanna Camusso lamentava arretramenti preoccupanti. Sta cambiando lo scenario oppure siamo al gioco delle parti? Qualche novità in realtà c’è e riguarda proprio la Cgil.
Alla riunione delle strutture in cui la segretaria chiedeva un mandato per firmare l’accordo del secolo che avrebbe modificato l’art. 18 e sconquassato il sistema degli ammortizzatori sociali, il mandato non è arrivato, anche perché le regole di democrazia interna prevedono che il soggetto legittimato a concederlo è ildirettivo nazionale. Ma è anche successo che, nell’incontro «informale» dei segretari di categoria e delle strutture territoriali, la Fiom si è opposta a qualsivoglia delega, per ragioni formali (la democrazia) e sostanziali (il testo sul mercato del lavoro è inaccettabile, non basterà un po’ di belletto a renderlo presentabile). Del resto, Maurizio Landini l’aveva gridato in piazza insieme a decine di migliaia di metalmeccanici che l’art. 18 non si tocca: cambiando il governo non cambia la musica.
Se l’opposizione della Fiom poteva essere messa in conto, quel che Susanna Camusso aveva forse sottovaluto è il mal di pancia di settori importanti della sua maggioranza congressuale, l’unica rappresentata in segreteria nazionale. Dalla scuola al pubblico impiego, da Torino all’Emilia i dubbi sull’eventuale accordo con Cisl, Uil, Confindustria e governo sulla controriforma stanno crescendo. E i pensionati dello Spi si sono legati al dito un’altra controriforma, quella appunto sulle pensioni.
La minoranza congressuale «La Cgil che vogliamo», per la prima volta tenuta fuori dalla riunione informale delle strutture, ha potuto dire il suo secco no soltanto attraverso le agenzie di stampa. Ma anche un’altra area congressuale, quella di «Lavoro e società» guidata da Nicola Nicolosi che aderisce alla maggioranza camussiana, sarebbe indisponibile a firmare una delega per la chiusura «positiva» della trattativa.
Non è detto che i mal di pancia si trasformeranno in altrettanti voti contrari al direttivo nazionale convocato per mercoledì. Anche perché il metodo già sperimentato da Camusso in occasione di un altro accordo contestato, quello del 28 giugno sulle regole contrattuali, è la trasformazione del voto sul merito in un voto di fiducia sul gruppo dirigente. Dunque, la Fiom resterà ancora una volta sola?
Non è detto, qualcosa si sta muovendo e nei prossimi giorni qualche novità potrebbe maturare. Quel che è probabile è che il cambio di ritmo di ieri della segretaria della Cgil, passata dal passo avanti al passo indietro, sia legato a due ragioni: la prima è politica e chiama in causa l’accordo con Monti dei partiti che sorreggono la maggioranza, sbandierato quasi come la conclusione della vicenda più travagliata di questo primo scorcio di secolo. Ma allora che ci stanno a fare le parti sociali?
La seconda ragione è interna alla Cgil e rappresenta il tentativo di tener buoni i malpancisti. Fatto sta che il prossimo incontro tra un Monti probabilmente esultante e le parti sociali sarà martedì, un giorno prima del direttivo nazionale Cgil, e non è un caso che invece la Fiom abbia convocato per lunedì il comitato centrale.
E’ molto probabile che mercoledì Camusso si presenterà al suo gruppo dirigente con un testo un po’ meno brutale rispetto al feroce documento con cui Elsa Fornero ha aperto la trattativa. Difficilmente però l’art.18 sarà salvo, e al di fuori dei trucchi formali la coppia Monti-Fornero potrà gioire per essere riusciti a passare là dove Berlusconi era stato fermato. E potranno dire che con il consenso di tutti gli i partiti e gli attori sociali d’ora in poi per poter aumentare l’occupazione si potrà licenziare più facilmente. E che in piena crisi sociale e occupazionale gli ammortizzatori sociali saranno ridimensionati. Magari, in cambio, le forme contrattuali da 47 potranno scendere a una decina, o addirittura meno.
Ma questo è lo scenario peggiore, la partita è aperta, se non altro dentro la Cgil.