Palagonia, sedicimila abitanti, a sud nella piana di Catania, paese nascosto tra il verde degli agrumeti e i capannoni in cui si lavorano (sempre meno) le arance. L’economia agricola incapace di mantenersi competitiva, stritolata nella grande distribuzione degli agrumi low – cost del resto del Mediterraneo, mai tutelata o sostenuta dalla politica (e sembra prassi comune nella regione che dispone dell’autonomia di fregarsene dei propri cittadini), che costringe i palagonesi ad essere sfruttati in lavori senza alcun rispetto dei contratti nazionali (ma anche questo è comune in questa assurda Sicilia) o a cercare occupazioni a giornata negli altrettanto economicamente fragili paesi e nelle distese di campi coltivati limitrofi. Governata per decenni dal clan familiare Fagone, che ha posto sulla poltrona di primo cittadino il nonno, il padre e il figlio. Una dinastia poco repubblicana, quanto mai poco trasparente. Proprio l’ultimo erede, Fausto, che è stato primo cittadino e deputato regionale con Udc e poi Pid, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e concussione. Nell’indagine emergono gli stretti contatti tra Fausto Fagone e Rosario Di Dio, boss mafioso del calatino, scarcerato nel 2003, luogotenente di Vincenzo Santapaola, figlio di Nitto e nuovo capo-clan catanese. Un tessuto sociale sfilacciato, una illegalità diffusa. Denunce ripetute, scivolate nell’oblio del senso civico.

Palagonia, Valerio Marletta, trentadue anni, comunista, è il nuovo sindaco. Ha vinto il ballottaggio con oltre il 73% di voti. Sei mila voti contro i due mila dell’avversario Di Stefano. Aveva denunciato pubblicamente già anni addietro l’attività illegale e il connubio fra mafia e politica, quando consigliere provinciale rilasciava interviste sul servizio pubblico (a L’ultima parola di Paragone), indicando anche il dimissionario presidente della regione Lombardo come interlocutore del boss Di Dio. A fianco dei lavoratori e dei braccianti nelle nuove battaglie contadine. Un programma politico basato sul riscatto del diritto, sulla socialità. Sull’equità e sulla giustizia sociale. La piazza del centro piena di cittadini palagonesi pronti a puntare tutto sul cambiamento, stanche del gattopardismo e dell’inciucio. Migliaia di elettori che hanno barrato nella scheda il segno della novità, della differenza, della discontinuità. In tutta Europa soffia il vento nuovo, di una sinistra che cresce, che contesta la strage della democrazia. È la sconfitta di chi ha governato e tutelato interessi individuali per aprire a nuovi percorsi di amministrazione nella tutela del bene comune. Vento che è giunto a spirare sino alla periferia più meridionale, più estrema, più complicata d’Europa. Sino a Palagonia, provincia di Catania, entroterra siculo.

Maggio, e il tempo non si ferma. Il ventennale della strage di Capaci in cui perse la vita Giovanni Falcone e gli uomini della sua scorta, sommersi dal tritolo e dalle macerie dell’autostrada. Il funerale di Stato del sindacalista corleonese Placido Rizzotto, partigiano e comunista, combattente nella lotta contadina della conquista della terra dopo il decreto Gullo, picchiato sino alla morte la notte del 10 marzo 1948 dagli uomini di Luciano Liggio, ai cui resti viene data degna sepoltura solo solo sessantaquattro anni dopo. Anni di mafia, violenza, omertà. Tempo inesorabile trascorso nell’omissione del sacrosanto diritto all’esistenza libera e dignitosa. Tempo senza giustizia. Ma è stata solo una perdita di tempo, per il tempo. A Palagonia è un maggio nuovo. Il consiglio comunale siederà sugli stessi banchi, nella stessa aula. C’è cambiamento però, oltre che nei rappresentanti del popolo, anche nel nome. Adesso, è l’aula Placido Rizzotto. Il segno di un nuovo maggio, di un nuovo tempo.