Mobilitiamo Messina: ma senza ambiguità
Nelle ultime settimane la Rete No Ponte ha seguito con molta attenzione l’ipotesi avanzata dalla Cgil di avviare una mobilitazione per contrastare lo smantellamento del sistema di collegamento e per nuovi investimenti nelle infrastrutture e nei trasporti.
Questa ipotesi è stata sostenuta da diverse associazioni, sindacati e partiti di sinistra che – insieme alla Cgil – hanno sottoscritto un documento in cui vengono articolate le ragioni della mobilitazione e gli obiettivi che si intendono raggiungere.
Un documento che come Rete abbiamo letto e discusso, che non ci ha convinto e che non abbiamo voluto sottoscrivere – pur riconoscendo l’urgenza di una mobilitazione su un tema di assoluta centralità – per almeno quattro ragioni di fondo.
Innanzitutto ci appare incomprensibile – considerato che i sottoscrittori del documento hanno sempre aderito alle manifestazioni No Ponte – l’ambiguità delle valutazioni sulla costruzione della mega opera che, si dice, “non può rappresentare l’unica alternativa”. Crediamo, infatti, che il Ponte sullo stretto non solo non debba rappresentare nemmeno una “seconda” alternativa, ma che abbia già abbondantemente danneggiato il territorio, paralizzandone lo sviluppo, sottraendogli imponenti risorse collettive (circa 500 Mln di euro spesi in progetti, consulenze e sondaggi) e indicato un modello di sviluppo socialmente degradante e economicamente fallimentare.
Battersi contro il Ponte non significa solo contrastare la costruzione di un manufatto inservibile, ma opporsi ad opzioni speculative che già nella loro “tecnica finanziaria” prevedono di scaricare i costi sulla collettività. E’ infatti noto che non esiste alcun soggetto privato interessato, che la Ue ha eliminato questa mega-opera da tutti i suoi piani di sviluppo e che i miliardi di euro ad esso necessari si aggiungerebbero al deficit pubblico di questo Paese. In sintesi, crediamo che il progetto del Ponte produca il risultato di favorire lobby finanziarie, pescecani delle grandi opere e cosche mafiose.
L’ambiguità su una questione così importante e, soprattutto, in un momento così drammatico – in cui si intende far pagare al Paese il conto di oltre vent’anni di ubriacatura neoliberista, di mega opere, di devastazioni ambientali e di spreco di risorse pubbliche – significa rinunciare a qualsiasi confronto autentico con questo territorio, che non ne può più di politicismi e tatticismi tutti interni ad un ceto politico ed imprenditoriale sempre più impresentabile e privo di qualunque credibilità. Inoltre, l’assenza di sindacati gialli e pontisti come Cisl e Uil rende impossibile spiegare l’omissione di una posizione chiara sul Ponte – che pure i promotori hanno più volte detto di voler contrastare – con l’esigenza di “allargare il fronte”.
In secondo luogo, nel documento mancano i riferimenti alla drammatica disoccupazione dilagante in città, alla precarietà selvaggia imposta a migliaia di giovani da imprese locali sempre più rapaci e oramai fuori controllo, allo stato delle immense periferie consegnate alla criminalità e al degrado.
Si è cioè in presenza di un documento ambiguo che non riesce ad essere né una classica piattaforma rivendicativa e sindacale – data la presenza di partiti ed associazioni e la difficoltà di individuazione di una precisa “controparte” – né a parlare con i vasti settori sociali taglieggiati dalla crisi a causa di un impostazione “di stampo ragionieristico” che non ha una visione di insieme, che lascia diviso quello che va invece unito: diritto alla mobilità, alla casa, alla salute, al lavoro, ad una città a misura d’uomo.
Va benissimo iniziare dalle infrastrutture, dalle ferrovie, dalle navi. Ma per costruire con il loro potenziamento un cambiamento attorno a bisogni ed esigenze comuni, collettive e partecipate.
Una battaglia vera per le infrastrutture deve vivere dentro una prospettiva di riscatto e di soddisfazione dei bisogni materiali offerta a tutti coloro – operai, immigrati, precari e disoccupati – che hanno pagato sulla loro pelle lo smantellamento dei servizi pubblici e la marginalizzazione degli interessi collettivi.
Riteniamo, inoltre, troppo alta nel documento la scissione tra quanto si afferma e quanto si propone di fare. Se a fronte delle tradizionali forme di mobilitazione il processo di smantellamento del trasporto pubblico è andato avanti con passo sicuro e se, come è vero, il costo sociale di tale processo ha raggiunto adesso livelli emergenziali al punto da dover coinvolgere tutta la città, una riflessione sull’aggiornamento di quelle stesse forme di mobilitazione non è più rinviabile. Almeno se non si vuole alimentare ulteriormente il clima di sfiducia e di rassegnazione che regna in città.
In ultimo, rimane la questione dell’Alta Velocità, nei confronti della quale il documento “Mobilitiamo Messina” si esprime favorevolmente. Posto che non c’è da parte nostra alcun elogio della lentezza, è ormai evidente come il Tav (e ce lo hanno spiegato bene le lotte dei valsusini) si sia dimostrato un grande meccanismo di sperpero di risorse pubbliche, con un elevato impatto ambientale e con vantaggi riservati ad una ristrettissima fascia d’utenza.
Chiamare alla mobilitazione generalizzata un territorio è una responsabilità estremamente significativa e qui assolutamente necessaria, ma non può restare confinata nell’angusto recinto della testimonianza: deve dare un segnale, certo. Deve puntare alla costruzione di una “identità collettiva” tra gli stessi soggetti sociali che si chiamano alla mobilitazione perché quest’ultima non sia estemporanea. L’obbiettivo di trasformare il destino di una comunità “scartata” è ambizioso, impone una determinazione ed un capacità di resistenza che questa città non ha mai conosciuto ma di cui ha un disperato bisogno. Ed è sulla base di questa consapevolezza che la Rete No Ponte, pur non avendo sottoscritto questo “poco convincente” documento, ritiene ugualmente di dover partecipare alle eventuali mobilitazioni che si avranno e di essere presente con i contenuti e le pratiche politiche che le sono proprie.
Rete No Ponte – Comunità dello Stretto