image001PERGUSA, 22 – 23 NOVEMBRE 2008
L’esito delle elezioni politiche e di quelle regionali ci ha consegnato un quadro politico fortemente avverso agli interessi che il nostro Partito vuole rappresentare. Tuttavia, l’irruzione della crisi economica-finanziaria e la straordinaria capacità del movimento in difesa della scuola pubblica di opporsi alla filosofia della privatizzazione del sapere e dei beni comuni, che ispira i decreti Gelmini-Tremonti, pongono le condizioni per una nuova stagione di lotte e per conseguire risultati che abbiano il segno dell’inversione di tendenza, dopo le sconfitte degli ultimi anni.
Occorre lavorare per far diventare senso comune il fatto che il fallimento delle politiche liberiste e la crisi della globalizzazione capitalistica non può essere pagata dai lavoratori, dalle donne, dai giovani, dai pensionati, dalle fasce sociali deboli. Occorre impedire che la crisi veda il prevalere di risposte di destra e,
conseguentemente, l’egemonia della destra nella società.
Da questo punto di vista bisogna valorizzare, estendendolo, il movimento che si batte per il diritto allo
studio che, nell’alleanza tra studenti medi ed universitari, insegnanti e ricercatori, precari e genitori, ha
maturato l’embrione di un possibile blocco sociale in grado di contrastare la trama di Confindustria.
L’attuale opposizione, presente in Parlamento, non è in grado di esercitare un’azione adeguata ed
efficace: talvolta è insensibile sui temi sociali, come Italia dei Valori, oppure non ha i fondamenti necessari
per costituirsi come opposizione sociale e politica nel Paese. Il Partito democratico, nato esclusivamente in
funzione del governo, spesso si mostra incapace di praticare l’opposizione.
Per queste ragioni, le opposizioni istituzionali non sono in grado di rappresentare l’opposizione sociale
messa in campo dal mondo della scuola e le tante vertenze del mondo del lavoro (dall’Alitalia alla Fiat; dalla
Stm alla Cesame, dall’Alicos al petrolchimico di Gela) che hanno trovato un significativo riscontro negli
scioperi della Cgil e nelle mobilitazioni dei sindacati di base.
La ripresa del conflitto sociale, malgrado la parzialità dei primi risultati ottenuti, mostra la strada da
seguire per uscire dal disastro elettorale e dalle nostre difficoltà nella società. Rilanciare ed estendere il
conflitto è una pratica concreta per riconquistare un protagonismo nella società.
L’indizione dello sciopero generale del 12 dicembre è un contributo, offerto dalla Cgil, per generalizzare la lotta contro il disegno di Confindustria e del Governo Berlusconi che continuano a perseguire obiettivi pericolosi, dal punto di vista sociale e democratico: in primo luogo la cancellazione del contratto nazionale e il massacro dei diritti dei lavoratori, i quali sono i soggetti cui si intende far pagare il costo della crisi.
La ripresa della conflittualità da parte della Cgil è un segnale importante che deve essere valorizzato,
per queste ragioni siamo a fianco dei lavoratori e dell’organizzazione che sta subendo le provocazioni di
Berlusconi e di Confindustria, tese a rompere l’unità sindacale, con l’auspicio che la nuova iniziativa della
Cgil segni il definitivo abbandono delle pratiche concertative.
Rifondazione Comunista deve essere parte attiva in questo processo, perché si sta materializzando la
possibilità che si determini, a partire dalla crisi dell’attuale modello di accumulazione capitalistica, un
consenso di massa al rilancio di un progetto di cambiamento radicale e di trasformazione della società.
Nelle prossime settimane, in tutte le occasioni, la nostra iniziativa sarà proiettata alla ricerca di unità
tra i soggetti del conflitto e di radicalità nelle rivendicazioni.
Bisogna fortemente rilanciare l’opposizione alle politiche familiste e securitarie delle destre, pervase
dall’ideologia del Vaticano, che mirano, in realtà, al controllo dei corpi femminili e alla codificazione della
vita, delle donne, annullando quarant’anni di conquiste civili e sociali, frutto dalle lotte agite dal movimento
femminista e da quello omosessuale e lesbico (Glbtq).
Quello che sta avvenendo conferma la necessità di mantenere e ribadire una collocazione autonoma del
partito, sia sul terreno dell’iniziativa sociale e politica sia rispetto al progetto strategico, dal Partito
Democratico. Tale collocazione deve essere declinata in maniera né ideologica né settaria.
Prendiamo atto che in Sicilia Rifondazione Comunista vive una fase di gravi difficoltà: la debolezza
del nostro insediamento e il meccanismo elettorale, non ultimo lo sbarramento al 5% alle elezioni regionali,
hanno posto il partito in gravi difficoltà spingendolo a ricorrere a liste allargate e ad alleanze elettorali
perdenti col centrosinistra. Nelle attuali condizioni, non è possibile ripercorrere una strategia di alleanze
organiche col Partito democratico a livello regionale.
Nonostante le sconfitte subite, il Pd siciliano persiste sulla linea del trasversalismo consociativo con le
destre sulle grandi questioni di fondo: da quello economico e sociale a quello culturale, fino agli assetti
istituzionali.
In questi giorni, dopo aver condiviso con la destra uno Statuto della Regione Siciliana a carattere
presidenzialista ed una legge elettorale regionale con lo sbarramento al 5%, il Pd si adopera per una norma
che estende lo sbarramento anche alle elezioni amministrative.
Rifondazione Comunista è chiamata alla mobilitazione contro tale scelta antidemocratica.
La Sicilia è sempre stata laboratorio e la nostra regione ha anticipato fenomeni nazionali: qui sono nati
l’unità autonomistica siciliana, i patti tra imprese mafiose e burocrazie sindacali, sotto la parola d’ordine del
“patto tra i produttori”. Occorre approfondire questi aspetti e per tali ragioni Rifondazione Comunista deve
sviluppare un punto di vista proprio sulle questioni legate all’autonomismo siciliano.
L’autonomismo di Raffaele Lombardo è un tema di facciata che serve a nascondere i reali interessi di
potere, la logica clientelare e la costruzione di una ramificazione di potere spesso in connessione con le
organizzazioni criminali e mafiose.
Il governo Lombardo agisce come una variante locale del centrodestra nazionale, in un contesto di
collaborazione conflittuale resa, oggi, più necessaria dalla contrazione delle disponibilità finanziarie imposte
dai vincoli liberisti e dall’esplodere della crisi economica.
Il governo Lombardo punta a contrattare un modello autonomista più accentuato con un progetto di
forte centralizzazione regionale delle scelte, questo è un modo utile per risolvere le contraddizioni che vanno
esplodendo nel blocco sociale che lo ha espresso.
Non è un caso che lo scontro più feroce tra Lombardo e Cuffaro si attesti sulla gestione dei fondi
europei e sulla sanità. Nell’isola l’affare della sanità regionale privatizzata, retta sui fondi pubblici, coinvolge
una fascia alta della società: medici, ingegneri e colletti bianchi. Sulla gestione di questo grande affare, prima
voce di bilancio della Regione, si impernia la politica dell’Udc prima e dell’Mpa dopo.
E’ in questi grandi flussi di denaro pubblico che operano comitati d’affari e organizzazioni criminali.
Ed il grado di connivenza tra mafia, politica e affari sulla gestione della sanità è venuto pienamente alla luce
nel processo che ha coinvolto l’ex presidente Cuffaro.
Bisogna indagare i veri nodi del potere siciliano, articolato e diffuso nelle ramificazioni della pubblica
amministrazione, nei meandri della burocrazia e nei gangli vitali di una economia sommersa che è il terreno
più fertile per il radicamento delle organizzazioni criminali e mafiose. Lo scontro dentro le forze politiche
della destra sono leggibili dentro uno scontro di potere per la gestione delle risorse pubbliche.
La battaglia per il riconoscimento delle accise sul petrolio ha la doppia finalità di compensare con
nuove disponibilità il taglio delle risorse nazionali e contemporaneamente di far passare il modello di
federalismo fiscale della destra.
Il centrodestra siciliano ha intenzione di destinare grande parte delle risorse finanziarie per realizzare
grandi opere che producono gravi danni all’ambiente, al territorio, al mare e alle coste. In questo contesto si
spiega l’adesione entusiastica di Lombardo all’opzione nucleare.
Rifondazione Comunista di oppone al modello di sviluppo che, imperniato sugli affari dei lavori
pubblici, garantisce la crescita dell’accumulazione mafiosa e gli interessi di chi specula sulla disoccupazione,
sul lavoro nero e sulla rendita.
Va rilanciata pertanto la battaglia contro il Ponte sullo stretto, assieme a quella contro i
termovalorizzatori, i rigassificatori, lo sfruttamento dei beni storici a fini speculativi, la cementificazione dei
suoli e delle coste attraverso la moltiplicazione dei porti turistici.
La sanità pubblica va difesa garantendo il mantenimento delle prestazioni sanitarie indispensabili, i
livelli essenziali di assistenza e tagliando sprechi e sperperi. Occorre contrastare, di contro, la
burocratizzazione, i processi di privatizzazione per tornare ad una vera programmazione regionale che
affermi la centralità del diritto alla salute sui luoghi di lavoro per evitare la continua strage degli infortuni.
La crisi economica sta avendo conseguenze spaventose nei settori produttivi. Chiudono o sono a
rischio di chiusura le piccole aziende agricole ed è sempre più evidente una crisi del settore ittico. Una
situazione simile si registra nel piccolo commercio. Ancora più grave si presenta la situazione nel settore
industriale: la situazione drammatica delle grandi aziende metalmeccaniche e dell’elettronica, e dell’indotto
ad esse collegato, ne sono una testimonianza.
Una situazione che fa registrare l’estensione del lavoro nero e, mentre il lavoro precario é sempre più
diffuso anche nel pubblico impiego (LSU, lavoratori a contratto, ecc), il tempo di lavoro e di vita sono
sempre più subalterni alle esigenze delle imprese.
Una condizione economica e sociale che produce il ritorno dell’emigrazione e l’abbandono dei piccoli
centri che non offrono alcuna prospettiva occupazionale. Mentre i migranti sono costretti alla clandestinità e
sottoposti ad ulteriori ricatti, dovendo vivere contemporaneamente la spada di Damocle del licenziamento,
spesso in nero o mal retribuito, e la conseguente espulsione prevista dalle norme securitarie, acuite dalle
ultime scelte del Governo.
Dobbiamo obbligare il partito a riprendere la riflessione sulla questione meridionale, sul declino
industriale e la finanziarizzazione dell’economia, sulla necessità di analizzare l’utilizzo, legale ed illegale, dei
capitali criminali.
La crisi economica in atto sta facendo emergere, in modo più drammatico, la differenza tra nord e sud
del Paese.
Si impone la crisi economica e contemporaneamente si registra, ulteriormente, uno squilibrio sociale
del Paese: questo fenomeno è evidente dall’impoverimento che si insinua nelle aree più ricche e dal fatto che
cresce la povertà, spesso al di sotto della soglia minima di sussistenza, nelle aree più povere.
Alla comparsa della precarietà nelle zone tradizionalmente caratterizzate da un mercato del lavoro
stabile corrisponde la ripresa dell’emigrazione dalle aree marginali, dove la precarietà e il lavoro nero sono la
condizione ordinaria dei lavoratori e delle lavoratrici.
Il mercato del lavoro nel Mezzogiorno d’Italia è stato caratterizzato dalla presenza di occupati stabili
nel settore pubblico e nei poli industriali e da ampi strati di lavoratori avventizi, giornalieri, stagionali, in
nero, in agricoltura, artigianato, piccola impresa manifatturiera, commercio. Nell’ultimo periodo registriamo
l’aumento dell’instabilità occupazionale anche nel pubblico impiego grazie alla diffusione della cosiddetta
contrattazione atipica (LSU, lavoratori a contratto, partite iva, co. co. co., etc. etc.)
L’assenza d’iniziativa della sinistra, nel suo complesso, ha creato un vuoto che la destra ha occupato
con pratiche politiche volte al controllo del territorio, alla gestione capillare del consenso elettorale, alla
disarticolazione della coscienza di classe e alla reintroduzione del clientelismo come meccanismo prioritario
per le relazioni tra gli eletti e gli elettori.
Il Partito della Rifondazione Comunista della Sicilia ritiene opportuna la ripresa di un dibattito
nazionale e regionale sulla questione meridionale e per questa ragione chiede alla Direzione Nazionale di
costruire un “dipartimento mezzogiorno” che risponda alle necessità di approfondire l’analisi della questione
meridionale, fornendo strumenti adeguati alla comprensione sociale dei nostri territori.
Questo dipartimento deve essere affiancato da un “dipartimento lotta alle mafie” per avviare una
riflessione e sviluppare una iniziativa nazionale sulla grande questione del contrasto alla criminalità
organizzata transnazionale.
Rifondazione Comunista deve investire le sue risorse politiche per dare risposte concrete ed efficaci.
Occorre avviare una battaglia per un adeguato e qualificato intervento pubblico nell’economia, a partire
dall’istituzione di un salario sociale e dalla generalizzazione degli ammortizzatori sociali. Bisogna
organizzare sportelli legali di difesa ed assistenza per i cittadini più deboli, i migranti, i lavoratori licenziati.
Siamo caricati di una grande responsabilità: ridare senso alle parole “comunismo” e “sinistra”. Ciò é
possibile se siamo interni ai movimenti di lotta contro lo sfruttamento, contro l’ingiustizia sociale, nelle lotte
anticapitalistiche e di liberazione Riaffermiamo quindi l’assoluta necessità di questo impegno politico e
militante, che passi anche dalla nostra capacità di costruire una prospettiva di cambiamento, di
trasformazione della società e da una resistenza culturale per i diritti.
I fatti di questi giorni, e i tristi episodi dei giorni scorsi a Roma, confermano, ora più che mai, la
necessità e l’attualità dell’antifascismo inteso come pratica sociale, culturale e militante quotidiana, e non
come una liturgia retorica o un feticcio da rispolverare alla bisogna.
Abbiamo la necessità di ripartire da un blocco sociale ampio, condiviso, partecipativo, per tornare a
credere, come ci ha insegnato il movimento di Genova, che un altro mondo sia possibile.
Questa consapevolezza ci obbliga a ripensare la nostra modalità di vivere e di agire il partito: la nostra
vera sfida è il radicamento nei luoghi dello scontro sociale e per far ciò dobbiamo riconquistare la capacità di
essere riconosciuti da coloro che, nell’indifferenza, sono sprofondati nell’inferno delle vecchie e nuove
povertà.
Le federazioni e i circoli devono tornare ad essere i luoghi del dibattito per organizzare le iniziative
sociali, per ascoltare la società e per parlare ad essa. Rifondazione comunista è uno spazio pubblico che
produce battaglie efficaci di opposizione.
Il Congresso impegna il nuovo gruppo dirigente a lavorare, con gli strumenti opportuni, al
miglioramento della formazione di tutti gli iscritti, dai militanti di base ai dirigenti nazionali.
La necessità di salvare e rilanciare Rifondazione Comunista ha senso se essa riesce a vivere dentro le
lotte, per arricchirle del senso del cambiamento, e se ha la capacità di contribuire in maniera decisiva alla
costruzione di un blocco sociale capace di contrastare, e battere, il progetto delle destre e di Confindustria.
In questo senso, possiamo affermare, con serenità, che i movimenti di opposizione di questi mesi
hanno avuto lo spessore di elaborazione e di efficacia anche per il ruolo che vi hanno avuto i nostri
compagni.
In Sicilia, il rilancio del Partito della Rifondazione Comunista é possibile se gruppi dirigenti e militanti
costruiscono e praticano, insieme, campagne di massa che affrontino i nodi cruciali dello scontro, gli effetti
della dalla crisi delle politiche liberiste.
Bisogna intrecciare le battaglie generali sul terreno dei diritti sociali, democratici, civili con questioni
non più rinviabili: la problematica ambientale, il lancio di una campagna per il salario sociale, la ripresa delle
mobilitazioni pacifiste contro l’espansione di Sigonella e il suo ruolo inquinante e bellico (vedi caso
Niscemi), la tutela dei beni comuni e la salvaguardia della sanità pubblica.
L’estensione e la generalizzazione del conflitto sociale, insieme agli obiettivi che ci stiamo assegnando,
richiedono pratiche unitarie che coinvolgano le forze della sinistra radicale, i comitati di lotta in difesa dei
beni comuni, l’associazionismo, il mondo ambientalista e i soggetti impegnati nella difesa e la conquista di
diritti civili.
Bisogna costruire l’unità politica e sociale nella società, perché i comunisti danno un senso alla parola
comunismo, innovandone il significato, nello scontro per fornire risposte alla domanda di diritti e di
cambiamento.
Dobbiamo costruire un partito che sia strumento dei movimenti e dei suoi militanti, con una struttura
regionale e federale fondata su dipartimenti e commissioni di lavoro che possano rendere più fluido il
dibattito, dentro e fuori il partito, e che pianifica il suo impegno e le sue risorse su obiettivi di radicamento e
di rappresentanza sociale e politica.
Per le elezioni amministrative della prossima primavera, il congresso siciliano del Partito della
Rifondazione Comunista dà un’indicazione alla presentazione di proprie liste, con il simbolo del partito, là
dove ne esistano le condizioni. Inoltre si dà indicazione alla formazione di alleanze con i soggetti politici e
sociali protagonisti delle lotte nella società e nei territori. Fin da ora occorre avviare un confronto con tutte le
forze della sinistra radicale.
Una politica delle alleanze chiara e senza ambiguità è importante per la riconoscibilità e la credibilità
del nostro partito che, talvolta, ha scelto alleanze ambigue negli enti locali. Sulla base di tale ragione,
chiediamo di rompere le alleanze in tutti gli enti locali in cui il nostro partito è al governo con partiti della
destra, MPA in primis.
Approvato con 54 a favore, zero contrari, 28 astenuti