Forse non bastano le classiche categorie della politica per spiegare le ragioni profonde della vittoria di Leoluca Orlando e il ritorno di uno schieramento progressista (IDV, Federazione della Sinistra e Verdi) alla guida della città di Palermo. Insieme alla politica, serve l’antropologia, la sociologia, la psicologia, forse anche lo studio di qualche culto esoterico per analizzare le motivazioni che hanno indotto i palermitani a riconsegnare la quinta città d’Italia a chi l’ha governata più volte, per anni, e che si è presentato con l’entusiasmo di un ragazzino alla prima candidatura. Tuttavia rimarcando, anche negli slogan elettorali, l’esperienza di uno che sa fare il sindaco.

 Orlando ha vinto, intanto, per ragioni politiche. Ha trionfato perché la destra ha governato male la città e i palermitani si sono accorti del disastro; perché troppo spesso il Partito Democratico non è stato riconoscibile come alternativo avendo praticato un’opposizione debole e un vergognoso ribaltone che lo ha portato, a livello regionale, a sostenere il governo di Raffaele Lombardo; perché tra i cittadini è rimasto vivo il ricordo della sua precedente esperienza amministrativa incisa come una pagina positiva nella vita di Palermo.

 L’ex sindaco Diego Cammarata e la sua giunta avevano operato uno strategico abbandono della città che, alla vigilia delle elezioni, si è presentata sempre più degradata e mortificata nella sua bellezza.

L’esperienza ultra-decennale della destra ha consegnato Palermo in condizioni disastrate: inquinamento atmosferico; degrado nei quartieri periferici sempre più isolati dal centro della città; strade sporchissime; viabilità caotica a causa di un piano traffico che ha privilegiato l’uso dei veicoli privati.

È aumentata vertiginosamente la speculazione edilizia; il Piano Regolatore Generale è stato oggetto di un vero e proprio saccheggio; sono state favorite operazioni di speculazione con il proliferare di megacentri commerciali che hanno arrecato danno al verde, al sistema economico e produttivo e ai mercati storici; le imprese private hanno subito un profondo declino, con la chiusura di numerose attività produttive, nell’inerzia delle istituzioni locali.

I servizi pubblici sono stati asserviti ad una logica di mercato; le aziende di servizi, interamente partecipate dal Comune, sono state poste in liquidazione, in attesa di svendere un ramo d’azienda a qualche affarista, oppure vivacchiano sull’orlo del fallimento grazie ad una gestione clientelare; le istituzioni culturali della città sono state marginalizzate; i Cantieri Culturali alla Zisa e lo Spasimo, simbolo della centralità culturale della città nel Mediterraneo, sono stati chiusi e abbandonati al degrado.

Palermo ha registrato, negli ultimi dieci anni, una decrescita demografica molto forte: oltre trentamila palermitani hanno lasciato la città, la maggior parte dei quali giovani in cerca di lavoro.

 In questo scenario apocalittico, Orlando vince perché in grado di ridare la concreta speranza di poter voltare pagina, attraverso proposte credibili per la trasformazione della città.

Tutto ciò è ascrivibile alla politica ma il salto di qualità è rappresentato dalla straordinaria connessione sentimentale tra Orlando e la città. Una totale empatia, una reale immedesimazione, una sorta di trasfert psicoanalitico attraverso il quale Orlando diventa, esso stesso, espressione dell’anima profonda della città e i cittadini si trasformano, magicamente, in protagonisti attivi della vita amministrativa.

La campagna elettorale è stata vissuta attraverso un continuo bagno di folla: una smisurata forza di attrazione magnetica tra il candidato e il suo popolo, una simbiosi taumaturgica in cui le sue doti affabulatorie hanno rimodulato i desideri reconditi degli elettori, le parole di Orlando sono diventate progressivamente un’immensa materializzazione di sogni in grado di cacciare gli incubi degli ultimi anni, tutto ciò semplicemente attraverso l’ostentazione della sua presenza fisica.

La possibilità concreta di poter, finalmente, vedere e toccare il sindaco della propria città ha preso forma, giorno dopo giorno. Infatti una delle accuse più insistenti rivolte all’ex sindaco Cammarata ha riguardato la sua inconsistenza, l’invisibilità, la totale assenza fisica, oltre che quella politica.

Un elemento che, nell’immaginario collettivo, ha determinato immediatamente la consapevolezza di una vittoria necessaria di colui che comunemente viene evocato, attraverso una crasi tra il titolo e il cognome,  “sindacollando”.

La vittoria di Orlando è cominciata nel momento in cui i palermitani hanno maturato la consapevolezza di poter riconoscere per strada la faccia del sindaco, di potergli parlare dei propri problemi, anche di quelli che non sarà in grado di risolvere.

In campagna elettorale e nei primi giorni della nuova sindacatura la richiesta più diffusa, rivolta ad Orlando, non ha riguardato la soluzione alla crisi economica, la possibilità di accedere ad un lavoro o di rendere migliori i servizi della città. I palermitani, inspiegabilmente per chi palermitano non è, si sono accostati ad Orlando, perfino durante il corteo del gay Pride, per chiedere al primo cittadino di realizzare un magnifico desiderio: quello di sentire pronunciare dal sindaco, in piedi sul carro trionfale della santa Patrona della città, la fatidica formula: “Viva Palermo e Santa Rosalia!”

Una richiesta insolita, forse.  Ma che denuncia la necessità di una città di re-impadronirsi della sua anima, dei suoi riti arcaici, della sua cultura profonda; ma anche di ricominciare a interloquire col sindaco e la sua amministrazione, grandi assenti degli ultimi anni.

Infatti, la notte del 14 luglio è stata l’apoteosi del trionfo e il carro di Santa Rosalia ha attraversato il centro storico della città con un sottofondo di appalusi e di urla di giubilo rivolto al neo-sindaco che ha risarcito il suo popolo quando all’incrocio dell’asse storico dei quattro canti, cuore della Palermo antica esaltata dai suoi cantori colti e popolari, si è innalzato per profferire la formula agognata.

“Viva Palermo e Santa Rosalia”, una sorta di urlo liberatorio, un canto tribale che ha restituito dignità ad un popolo disperato, ad una città afflitta. Un rito magico, propiziatorio, insieme laico e religioso, una santerìa mediterranea, profana e mistica, che ha cacciato gli spiriti maligni e ha rimesso in moto la vita, la normale attività di una città.

Ma la normale vita di Palermo è una sfida straordinaria a immensi problemi economici e sociali.

 Qualche piccolo problema

Gli effetti degli ultimi dodici anni di vita amministrativa hanno lasciato il segno e la situazione è ulteriormente peggiorata dopo la manovra economica del governo Monti.

Infatti la famigerata spending review ha prodotto tagli nei trasferimenti al Comune di Palermo pari a 6,8 milioni nel 2012 e 26,8 milioni a regime.

La situazione finanziaria del Comune di Palermo, così come ereditata dalla precedente Amministrazione, si presenta in condizione di disequilibrio e grave sofferenza. La causa va ricercata in un decennio di sprechi e ruberie che sono stati oggetto anche di indagini della magistratura contabile e penale.

L’Azienda pubblica di smaltimento rifiuti (AMIA), posta in amministrazione straordinaria dal 2010 ed oggi in concordato preventivo fallimentare, ha un patrimonio netto negativo di 55 milioni. I suoi ex amministratori sono stati condannati in sede penale per la gestione dell’azienda, tra questi l’ex presidente, Enzo Galioto, condannato a due anni e mezzo di reclusione per falso in bilancio ma preventivamente tutelato dal PDL con l’elezione al Senato. Tuttavia dopo la crisi del governo Berlusconi, Galioto ha scelto di transitare all’UDC ed è particolarmente impegnato a sostenere la candidatura del democratico Rosario Crocetta alla presidenza della Regione.

Per l’azienda pubblica del trasporto urbano (Amat) i debiti fino alla fine del 2011 ammontano a 117 milioni e con circa trecento autobus in meno rispetto al 2001, anno in cui iniziò l’esperienza di Cammarata.

L’azienda acquedotti è fortemente indebitata, quasi cento milioni, e vanta crediti nei confronti del Comune di Palermo per 23 milioni; mentre quella che si occupa della distribuzione del gas e dell’illuminazione pubblica ha un debito che si attesta intorno ai 35 milioni di euro, mentre vanta crediti verso il Comune per 21 milioni

Ma a fine agosto è esplosa la cosiddetta bomba Gesip. Il Governo Monti, nelle vesti di incendiario, ha deciso di non mantenere gli impegni con la città, non rispettando una ordinanza ministeriale di protezione civile, per l’emergenza rifiuti, e bloccando fondi già garantiti alla Commissaria straordinaria che era subentrata al dimissionario Cammarata, il quale aveva pensato di dimettersi quattro mesi prima delle elezioni, nel tentativo di non evidenziare i disastri della sua amministrazione nella campagna elettorale.

 La nuova amministrazione comunale si è trovata di fronte una proposta di bilancio, già presentata in Consiglio Comunale, che non prevedeva alcuno stanziamento per i servizi resi dalla Gesip, oltre che per una serie di voci di spesa per servizi essenziali.

Già dal 2010, pur essendo la Gesip partecipata al 100% dal Comune, dal bilancio comunale sono stati cancellati del tutto i fondi destinati ai servizi resi dall’Azienda che è stata posta in liquidazione: nei fatti si è determinata la condanna alla scomparsa di società, servizi fondamentali e forza lavoro.

Per dodici mesi (da maggio 2011 ad aprile 2012) l’azienda è andata avanti con una proroga e con erogazione straordinaria di risorse concesse dal governo Berlusconi.

E così dal 1 settembre la Gesip, in liquidazione e priva di risorse, ha disposto la sospensione dei servizi e dei relativi rapporti di lavoro con 1800 lavoratori. Una vertenza drammatica, dal punto di vista sociale, che ha pregiudicato alcuni servizi essenziali della città.

Tutto ciò in attesa del pronunciamento del tribunale, previsto per il mese di ottobre, sul fallimento dell’Amia che, grazie anche alla pessima gestione commissariale, potrebbe mandare a casa altri 1600 lavoratori dell’azienda che si occupa della raccolta dei rifiuti, dopo avere disposto, ai primi di settembre, la messa in mobilità di trecento operai.

La soluzione di tutte queste vertenze non è stata affrontata dall’amministrazione Cammarata che ha rimandato la questione caricando una bomba ad orologeria, pronta ad esplodere, nella sua drammaticità sociale, puntualmente all’indomani delle elezioni.

              Gli interessi privati

  La nuova amministrazione ha ereditato una situazione pesantissima, è evidente che c’era un disegno preciso che avrebbe dovuto portare allo smantellamento delle aziende pubbliche e alla privatizzazione dei servizi locali.

Probabilmente Cammarata e i suoi amici avevano già deciso a chi vendere alcuni servizi, magari quelli più appetibili, soprattutto quelli offerti da Gesip e Amia.

Infatti, negli ultimi anni, lo smantellamento dei servizi pubblici locali ha favorito logiche liberiste favorendo gli introiti di aziende nazionali ed internazionali, legate a gruppi finanziari e ad alcune società che hanno privatizzato i servizi nelle grandi città del Nord Italia, soprattutto quelle amministrate dal Partito Democratico.

A Palermo si stava architettando un disegno che avrebbe messo d’accordo una cordata formata da gruppi imprenditoriali, politicamente trasversali, pronto ad accaparrarsi i servizi pubblici essenziali della città.

Ma a Palermo gli affari non sono mai solo una questione economica e così è evidente che dietro questo disegno perverso si siano mossi gli interessi criminali della mafia che ha scelto di non rimanere inerme davanti alla vittoria di Orlando il quale, con la scelta strategica di mantenere interamente il carattere pubblico delle aziende di servizi, ha inceppato il meccanismo perverso delle privatizzazioni e il suo conseguenziale giro di affari, quello legittimo e quello criminale. Anche se il confine tra le due attività spesso non è facilmente individuabile.

E così non sono mancati i segnali inquietanti: un incendio doloso della discarica di Bellolampo ha messo per settimane in ginocchio il servizio di raccolta rifiuti con un vertiginoso aumento di costi per il trasporto in altre discariche e l’emergenza diossina che ha procurato grande allarme tra la popolazione.

Non è superfluo ricordare che il ciclo dei rifiuti e il suo smaltimento rappresentano il secondo affare di Cosa Nostra, dopo il traffico di droga. Tutto ciò desta ulteriore preoccupazione se messo in relazione alla pessima gestione dei commissari straordinari dell’Amia, nominati dal Ministero dell’Economia, e agli effetti che potrebbe avere una eventuale sentenza di fallimento dell’Azienda.

La vittoria di Orlando e del suo schieramento ha avuto il merito di aver bloccato la svendita delle aziende partecipate al 100% dal Comune e di avere posto come prioritario il rilancio della natura pubblica dei servizi locali.

Per questa ragione i nemici di Orlando sono molteplici ed eterogenei ma evidentemente riconoscibili tra i fautori del liberismo, tra le multinazionali che gestiscono i servizi in giro per l’Europa e in quella zona grigia in cui si confonde il lecito e il criminale e dove sguazzano gli autorevoli rappresentanti della borghesia mafiosa.

 Gli effetti politici

La vittoria di Orlando ha determinato una serie di importanti di conseguenze politiche. Il nuovo quadro, uscito vincente dopo le elezioni palermitane, ha determinato un’accelerazione nella crisi del governo regionale.

In Sicilia abbiamo assistito ad una clamorosa pantomima imperniata sulla deformazione costituzionale dell’espressione “senza vincolo di mandato” che è servita a giustificare la più becera rappresentazione del trasformismo politico.

Il governo di Raffaele Lombardo (eletto coi voti del PDL e sostenuto dopo un anno di attività dal PD)  è imploso, da un lato per i problemi giudiziari del Presidente, dall’altro per l’incapacità di costruire una proposta credibile per il governo della Sicilia, caratterizzandosi esclusivamente per una imbarazzante smania clientelare e spartitoria, per un’occupazione capillare del potere, evidenziata da circa settecento consulenze e dalle nomine nelle aziende sanitarie, dall’incapacità di programmare l’impegno e la spesa di miliardi di euro di fondi strutturali messi a disposizione dall’Unione Europea.

Le elezioni palermitane hanno sancito, in Sicilia, oltre che la fine del governo Lombardo anche la definitiva crisi del modello bipolare: infatti i due grandi schieramenti, che hanno caratterizzato la storia recente del Paese e che si sono sempre presentati compatti alla Regione, si sono frammentati.

E così alle prossime elezioni regionali ci saranno quattro candidati, frutto di una decostruzione delle vecchie coalizioni nate con la seconda Repubblica.

Le elezioni palermitane e la vittoria di Orlando hanno sancito il passaggio alla nuova fase, ancora non decifrabile ma certamente estranea al bipolarismo.

Il bipolarismo italiano sembra ormai sepolto e l’operazione politica che ha portato alla nascita del governo Monti ha accelerato tale processo: oggi un’indistinta poltiglia centrista, travestita da ministri di un presunto governo tecnico, sta ricostruendo il legame col blocco di potere che si era rigenerato negli anni del berlusconismo trionfante.

Si è chiusa un’epoca? Probabilmente sì.

Appare sempre più evidente che non si può stare nella stessa coalizione se si hanno idee diverse sulla natura dell’Unione Europea, sul governo Monti, sulle lacrime della Fornero, così come sulle scelte del governo Lombardo, sulla modalità di stare all’opposizione in una città governata dalla destra, sulle priorità del governo locale che non può oscillare tra opzioni incompatibili come la privatizzazione dei servizi locali e la tutela dei beni comuni.

E così, dopo Palermo anche in Sicilia, si è ridefinito il quadro politico che ha rotto la gabbia bipolare e ha determinato elementi di chiarezza nelle alleanze.

All’interno della vecchia coalizione di centrosinistra, anche in Sicilia si è aperta la sfida per l’egemonia, per usare un’espressione di Antonio Gramsci. Da un lato il Pd che ha scelto prima di sostenere Lombardo e ora di allearsi con l’Udc orfano di Cuffaro e dall’altro lato le forze politiche che continuano a contrastare, in parlamento e nella società, le politiche del governo Monti e che si sono alleate, seppur fuori dall’Assemblea Regionale Siciliana, contro le vergognose scelte di Lombardo.

A sinistra la sfida tra Crocetta e Fava non è affatto uno scontro fratricida, come non lo era quello tra Orlando e Ferrandelli: è evidentemente la contrapposizione di due percorsi e di due idee alternative di società.

Oggi, la praticabilità di questa sfida per l’egemonia è più evidente grazie all’autorevolezza di una proposta risultata vincente a Palermo.

Infine, l’esito delle elezioni palermitane ha contribuito a determinare, finalmente, un cambio di rotta anche per SEL. Infatti il partito siciliano di Nichi Vendola, che dopo la batosta di Napoli si era ostinato a fare l’ancella del PD pure alle elezioni palermitane, ha scelto di modificare la propria linea, probabilmente in difformità con quella delineata in vista delle prossime elezioni politiche.

Dopo il pessimo risultato di Palermo, SEL ha scelto di non continuare ad inseguire il PD nella sua smodata corsa al centro, ha espresso il candidato presidente della coalizione alternativa e addirittura, dopo svariati rifiuti, ha scelto di costruire una lista insieme alla Federazione della Sinistra che, evidentemente dopo l’ottimo risultato delle amministrative di Palermo, non può più essere dipinta più “obsoleta e incompatibile con le istanze di cambiamento”.

Miracoli delle sberle elettorali palermitane, miracoli della nuova stagione siciliana aperta al grido di “Viva Palermo e Santa Rosalia.”

Giusto Catania

L’autore è dirigente di Rifondazione Comunista e assessore alla Partecipazione della Città di Palermo

articolo tratto da Alternative per il Socialismo